MELTING GOL BORUSSIA DORTMUND: GIOCO, VIVAIO E LEWANDOWSKY (IL BOMBER POLACCO CHE LA ROMA SCARTÒ)

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Andrea Sorrentino per "La Repubblica"

C'erano sette tedeschi, tre polacchi e un serbo. Costati in tutto una cinquantina di milioni, anche se adesso valgono almeno cinque volte di più. Hanno un'età media di 24 anni e mezzo: l'unico sopra i 30 è il portiere Weiden-feller, gli altri matusa sono i ventisettenni Piszczek e Blaszczykowski, poi hanno tutti dai 25 anni in giù.

Ecco il Borussia Dortmund che ha schiantato il Real. Giovane, allegro e micidiale. Sospinto da un pubblico formidabile, in uno stadio che nel 2011 ebbe la media di 80478 spettatori a partita (avete letto bene, sì). Allenato da un tecnico bambino, Jurgen Klopp, che ha 46 anni ma gli piace fare il giuggiolone a bordo campo, allestendo show improvvisati, perché bisogna sempre rinfrancar lo spirito.

Sostenuto da un club che nel 2006 era fallito sotto il peso di un passivo di 140 milioni ma ha saputo rinascere, e ora ha il nono fatturato d'Europa e ha chiuso l'ultimo bilancio in attivo di 34 milioni. Guidato da un consiglio direttivo in cui siede Peer Steinbruck, leader del Spd e avversario di Angela Merkel alle prossime elezioni, quello che due mesi fa diede del clown a Berlusconi e Grillo.

Al netto dei suoi simpatici eccessi, il "BVB" è comunque un modello gestionale e sportivo. E' il Davide che ha abbattuto con quattro colpi di fionda il Golia di Madrid, il Real costato sei volte di più perché la rosa a disposizione di Mourinho ha imposto una spesa di circa 300 milioni.

Modello Borussia Dortmund, modello Bayern Monaco, modello Schalke (in semifinale di Champions due anni fa): il modello tedesco detta legge. Perché è la società tedesca, comunque perfettibile come ogni modello sociale, a essere più avanti degli altri. Lo è nell'equilibrio dei bilanci, perché la regola aurea è che non bisogna spendere più di quanto si incassa; lo è nella cura dei giovani e dei vivai, dove si costruisce ogni cosa; e lo è anche nella società, multiculturale e multirazziale come poche altre in Europa, serbatoio unico di talenti e contaminazioni.

Col suo ruolo di locomotiva economica del continente, la Germania ospita lavoratori stranieri da cinquant'anni: polacchi e turchi, italiani, tunisini e algerini, centrafricani, asiatici hanno finito col diventare parte della grande nazione, che soprattutto dopo l'unificazione ha avuto bisogno di energie nuove per rimodellarsi.

Ora, su 82 milioni di abitanti, ben 16 milioni, ossia quasi il 20%, sono tedeschi di seconda generazione, ed è lì che i club calcistici più lungimiranti sono andati a pescare talenti. Come l'eccellente Gundogan, il turco-tedesco che l'altra sera con la sua regia ha stordito il centrocampo del Real (dove, per inciso, giocavano anche Ozil e Khedira, un turco e un tunisino di nazionalità tedesca...).

Oppure, sempre per rimanere al Borussia, come Nuri Sahin, turco anche lui. Ma gli esempi sono numerosi, non a caso anche la nazionale negli ultimi anni è diventata un invidiato melting pot di tedeschi acquisiti. Ma poi si sa, loro sono perfezionisti per natura così negli ultimi tempi il modello "Multikulti" è stato criticato dall'interno.

Angela Merkel ha addirittura affermato che in Germania «il multiculturalismo è fallito, gli immigrati dovrebbero imparare meglio il tedesco », e lo ha detto sia per motivi elettorali sia perché in effetti a volte si creano vere e proprie enclavi culturali, con molti insegnanti che hanno confessato di dover ormai imparare il turco per riuscire a capirsi con la maggior parte degli allievi. Ma intanto lo sport approfitta della situazione, e coi nuovi tedeschi si sta costruendo un futuro all'avanguardia. Come si è accorto, e con dolore, il calcio europeo, e quello spagnolo ancora di più.

 

2. LEWANDOWSKI, LA STELLA CHE NESSUNO VOLEVA

 

Andrea Sorrentino per "La Repubblica"

 


Quando Franciszek Smuda lo vide giocare per la prima volta, gli ci vollero 15 minuti per entusiasmarsi: «Vi sono debitore. Questo ragazzino è come un pozzo di petrolio», disse agli osservatori che l'avevano convinto a dare un'occhiata a quel Robert Lewandowski, attaccante ventenne dello Znicz Pruszkow, serie B polacca.

E in effetti Lewa ha dato ragione alla profezia di Smuda: ogni volta che si muove, il suo club ci guadagna dieci volte tanto. Passa dallo Znicz al Lech Poznan di Smuda nel 2008 per 350 mila euro, poi due anni dopo il Lech lo cede al Borussia per 4,5 milioni. Adesso, tre anni e 74 gol più tardi (in 133 presenze col BVB), compresi i quattro rifilati a Mourinho, Lewandowski di milioni ne vale almeno una trentina, e saranno quelli che il Bayern Monaco o il Manchester United sborseranno per ingaggiarlo.

Un pozzo di petrolio sottovalutato da qualcuno, se è vero che nel 2010 lo volevano il Genoa (che gli fece sostenere anche le visite mediche e lo portò a vedere un derby), il Blackburn e l'Atalanta, ma poi si tirarono indietro, e non furono gli unici: ieri Steve Archibald ha fatto sapere di aver offerto Lewa al Tottenham per 5 milioni, sempre nel 2010, ricevendone un rifiuto. Peggio per loro.

Adesso tutta Europa parla di questo polacco dal fisico scultoreo (il suo compagno Sahin lo ha soprannominato "The body"), attaccante che più moderno non si può per quel gran correre al servizio della squadra e per come è micidiale sotto porta: quando arriva in area in velocità e palla al piede, nove volte su dieci è gol, grazie a un destro secco come una scudisciata.

Famiglia di sportivi veri: il papà è stato campione polacco di judo e calciatore in serie B, la mamma era una pallavolista in serie A e la sorella, sempre nel volley, è stata nazionale under 21. Sportiva di un certo livello è anche la fidanzata, Anna Stachurska, medaglia di bronzo ai mondiali di karate nel 2009. Anzi dicono che tra le varie cose che fanno insieme, i due abbiano anche programmi di allenamento simili e che Lewa se ne giovi per aumentare la sua potenza muscolare e il suo equilibrio negli stacchi di testa.

Al loro paese sono talmente popolari, come coppia, che li chiamano i Beckham polacchi. Nessuno dei due, risulta ai bene informati, soffre particolarmente per quell'occasione persa col Genoa e con l'Italia nel 2010. Meglio, molto meglio la Germania uber alles, anzi proprio non c'è partita.


3. BONIEK: "LA ROMA RIFIUTÃ’ LEWANDOWSKI, LO PROPOSI CINQUE ANNI FA A TRIGORIA"
Mimmo Ferretti per "Il Messaggero"


Zibì Boniek è il presidente della federcalcio polacca. «Per favore, da mercoledì sera chiamatemi solo presidente e lasciate perdere altre etichette», si raccomanda.

Tipo?
«Bello di notte, ad esempio».

E come mai?
«Dall'altra sera il nuovo bello di notte è il mio connazionale Lewandowski. Quattro gol in una semifinale di Champions è una cosa mostruosa».

Il fiore all'occhiello del calcio polacco.
«Uno dei primi dieci attaccanti al mondo. Anzi, forse Robert sta nei primi cinque. E, essendo giovanissimo, ha ancora ampissimi margini di miglioramento».

Lo vogliono tutti i grandi club d'Europa...
«E ci credo. Cinque anni fa io lo proposi alla Roma, ma non se ne fece niente...».

Prego?
«Sì, cinque anni fa, quando Lewandowski giocava nel Lech Poznan, ne parlai quattro, cinque volte con i dirigenti della Roma ma non lo presero in considerazione».

Con chi parlò esattamente?
«Lasciamo stare... Diciamo con la Roma e basta».

E quanto costava allora?
«Se tre anni fa è stato pagato circa 5 milioni dal Borussia, quando lo proposi alla Roma costava meno di tre milioni».

E oggi quanto vale?
«Più di trenta milioni, penso».

Chi glielo aveva segnalato?
«Non dimenticate che io, essendo il presidente della federcalcio, so tutto quanto avviene nel mio Paese. Di Lewandowski mi parlavano bene tutti, allenatori e dirigenti, e allora pensai di proporlo alla Roma.

Non come procuratore o cose simili, da parte mia non c'era alcun interesse. Solo che essendo tifoso della Roma mi avrebbe fatto piacere vedere un bravo giocatore con la maglia giallorossa».

Invece non se ne fece niente.
«Niente. Non convinse».

Suggerisca il nome di un altro potenziale Lewandowski.
«Mariusz Stempinski, attaccante classe 1995 del Widzew Lodz. È in scadenza di contratto. Chi lo prende, fa un affare».

I talenti polacchi non mancano.
«Vero, ma giocano tutti lontano da casa. In Polonia ci sono grandi giocatori ma non ci sono grandi club, quindi quelli bravi emigrano; anzi, sono costretti ad emigrare. Scappano».

Fuori i nomi, Zibì.
«L'Arsenal ha due portieri polacchi, ad esempio: Fabianski e Szczesny; il Borussia Dortmund oltre a Lewandowki ha Blaszczykowski e Piszczek; l'Udinese sta mettendo in mostra un gioiellino che si chiama Zielinski; al Milan c'è Solomon che potrebbe, anzi dovrebbe fare il titolare. Però, il calcio italiano in Polonia sta perdendo molto appeal».

Traduzione?
«Molti giovani polacchi non mettono più l'Italia come prima scelta per la loro carriera. Preferiscono altri campionati, quello tedesco su tutti. Peccato. Io continuo a pensare che chi gioca bene in Italia, gioca bene in ogni angolo del mondo. E che non è assolutamente automatico il contrario».

Il calcio tedesco, vista la Champions, oggi rappresenta l'eccellenza.
«Il Bayern è già in finale; il Borussia non ancora... Il Real Madrid può vincere tre a zero? Per me sì».

Il fenomeno Borussia?
«La prova provata che le squadre non si comprano ma si costruiscono. Brava la società a scegliere i giocatori, bravissimo l'allenatore a farli giocare in quel modo. Li vedi partire, tagli, sovrapposizioni, intrecci... Sembrano le autostrade di Los Angeles...».

Il Bayern ha già cacciato Heynckes per far posto a Guardiola.
«Normale in Germania, impensabile in Italia dove nel calcio domina il chiacchiericcio da Bar del Tennis».

 

Robert LewandowskiRobert LewandowskiRobert LewandowskiRobert LewandowskiRobert LewandowskiZIBI BONIEK E MOGLIEZibi Boniek