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Carlos Passerini per il “Corriere della Sera”
La notizia, per una volta, è che non c' è notizia. Niente etichette autoprodotte, poche battute, nessun rumore dei nemici da evocare, nemmeno lo straccio di uno slogan. Delle due l' una: o José Mourinho è diventato veramente Normal One, ipotesi scarsamente accreditata vista la scaltrezza del soggetto, oppure lo fa apposta perché così impone l' astuta strategia comunicativa di turno.
Perciò profilo non basso ma quasi, autocelebrazione al minimo, dialettica di circostanza: tutto azzeccato, perché il Manchester United, la squadra per la quale secondo contratto lavorerà fino al 2019 con opzione per il quarto anno e un ingaggio fra i 14 e i 20 milioni di euro a stagione, non è il Chelsea ma qualcosa di diverso, di più nobile, proprio nella percezione popolare.
Questione di storia, di bacheca, di nobiltà calcistica, del quarto di secolo del regno Ferguson («Che consiglio mi ha dato? Di portare sempre l' ombrello»: la battuta migliore dell' incontro). Old Trafford non è il posto giusto insomma per alzare la voce come un parvenu, e così ai non più di quaranta cronisti convenuti nella sala stampa è toccato tornarsene in redazione dopo mezz' oretta di conferenza smorta, un po' abbacchiati e senza l' ombra di un titolo.
«Non so come definirmi dopo Special One e Happy One, sono arrivato in un club che è difficile descrivere a parole. Non è un lavoro dei sogni: è la realtà - ha detto il tecnico di Setùbal, 53anni, reduce dal licenziamento coi Blues -. Volevo la Premier, arrivo qui nel momento giusto della mia carriera, ho grandi motivazioni, sono dove voglio essere. In questo club, in questo Paese. E ora voglio tornare in Champions perché il Manchester United è un club da Champions. Come si fa? Per vincere i campionati serve segnare più degli avversari e difendere meglio».
Di sicuro servirà segnare più dell' ultima stagione, chiusa con un amarissimo quinto posto e la miseria di 49 gol in 38 partite. Da qui l' idea di suggerire il reclutamento del vecchio amico Zlatan Ibrahimovic, che a dispetto dei 34 anni si è presentato facendo un figurone ai test medici (secondo il club ha infranto «i record di forza degli ultimi anni»).
Il problema sarà di abbondanza visto che là davanti c' è sempre il totem Wayne Rooney, oltre agli scalpitanti Marcus Rashford e Anthony Martial. Il patron americano Glazer gli ha poi portato Henrikh Mkhitaryan ed Eric Bailly, e ora secondo il Daily Star ha pronti 95 milioni per Paul Pogba.
«Ho indicato quattro priorità per la squadra, tre operazioni sono state concluse. Fino a quando non avremo il quarto, dovremo lavorare per centrarlo» ha commentato JM, il quale - recuperiamo il concetto del profilo basso - ha poi scientemente scartato il tema Guardiola, la cui presentazione ufficiale lunedì all' Academy del City è stata decisamente più pop: «La rivalità fra manager in Premier non ha senso. In Spagna e in Italia, dove due squadre o tre si contendono il titolo, può funzionare.
Ma qui no perché la corsa al titolo è allargata. Io non mi relaziono con gli altri allenatori.
Non devo dimostrare niente. Ci sono alcuni che hanno vinto l' ultima volta dieci anni fa, chi un anno fa. E chi mai».
E c' è chi invece è costretto ad andarsene, tipo Giggs, 963 presenze e 34 trofei: «Non è colpa mia l' addio di Ryan - la risposta secca di Mou -. Lui voleva il lavoro per il quale sono stato chiamato qui». Per il quale, altro dettaglio che dettaglio non è, guadagnerà la metà di quanto gli passava il Chelsea. Meno parole e meno quattrini: per Old Trafford, evidentemente, si può fare.
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