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IL DISCORSO DI LEO MESSI PRIMA DELLA FINALE DI COPA AMERICA
Paolo Condò per www.repubblica.it
A un certo punto della semifinale, quando ormai era chiaro che Leo Messi s'era preso il palcoscenico e la partita, il regista televisivo ha divagato in tribuna pescando un bel sorriso di Ronaldinho. Nella stagione 2005-06, la prima in cui Messi cominciò a giocare con frequenza nel Barcellona, il brasiliano dagli incisivi prominenti era la grande star della squadra catalana.
Siccome il talento riconosce sempre il talento, ben presto aveva preso quel ragazzino arrivato dall'Argentina sotto la propria ala. Ronaldinho si è rovinato molto presto per il solito problema dell'incontinenza che penalizza certi campioni (troppo alcol, troppe notti, troppo sesso), ma era e resta un uomo profondamente buono, e nel sorriso fraterno rubato dalla tv abbiamo rivisto quei sentimenti sinceri.
Ronaldinho se l'è goduta, come tutti noi che vediamo Messi da allora e in qualche piccola maniera continuiamo a lasciarci sorprendere dalle sue giocate. Forse Dinho - come si faceva chiamare allora - al terzo gol dell'Argentina ha rimpianto il poco tempo concessogli di giocare al fianco di Leo. Nell'estate del 2008, quando Guardiola diventò allenatore del Barcellona, la sua prima richiesta al presidente Laporta fu la cessione di Ronaldinho: un po' lo disturbava l'ascendente che il brasiliano esercitava su Messi, con tutti gli annessi di notti brave dalle quali il giovane Leo (21 anni) doveva essere preservato.
Ma il motivo preminente era un altro. Nei momenti di difficoltà, i giocatori del Barcellona andavano da Ronaldinho di default, senza pensarci: è il migliore, se la veda lui. Solo che nella testa del Pep - e nella realtà - il brasiliano non era più il migliore. Il più forte ormai era Leo, e la palla andava data a lui. Trattenere Dinho avrebbe impigrito il Barça, ritardando la successione naturale: meglio separarsene, che mangiarsi il fegato a ogni allenamento.
Oggi Messi ha 35 anni, che sono molti di più dei 28 di Ronaldinho all'epoca, anche se non sembrano. È possibile che la necessità - se vogliamo chiamarla così - di vincere un Mondiale l'abbia mantenuto giovane, ma a rileggere le sue ultime due stagioni l'impressione che si sia "aiutato" con un comportamento intelligente è netta. Pensate soltanto al trasferimento, forzoso all'inizio ma poi benedetto, dal Barcellona al Psg: Leo è passato da un club del quale era il totem assoluto - l'uomo sul quale poggiava l'intero peso della squadra - a una compagnia in stile Harlem Globetrotters talmente zeppa di stelle che qualche serata di sostanziale astensione poteva passare inavvertita.
È dall'estate del 2021 che il Messi parigino ricorda solo a tratti, brevi tratti, l'alieno del Camp Nou. Si è pensato a un declino, invece era una ricarica. Erano quattro anni, dopo la delusione in Russia, che Leo non pensava ad altro che alla sua ultima chance mondiale: un chiodo fisso che dopo la vittoria della scorsa estate in coppa America gli si è piantato in mente ancora di più.
Naturalmente questo non vuol dire che con la maglia del Psg sia stato poco professionale: speso un anno per capire l'ambiente - non pensiate che la convivenza con Neymar e Mbappé sia semplice - nella stagione in corso le prestazioni "signature edition" sono in evidente crescita. Però il sentimento, beh, quello è riservato alla Seleccion: il gol del 3-0 di ieri, il modo in cui è sgusciato alla marcatura di Gvardiol - il miglior difensore del Mondiale - e dalla linea di fondo ha atteso lo smarcamento di Julian Alvarez per armargli il piede destro, è stata arte.
Una di quelle giocate che riescono quando una capacità tecnica siderale si sposa a una determinazione mentale da fuoriclasse in missione. Non c'è nessuna garanzia che tutto ciò sia sufficiente per vincere il titolo. Per molti - noi fra questi - rappresenterebbe il lieto fine di una storia straordinaria, ma chi uscirà da Francia-Marocco avrà ogni diritto di sentirsi investito da una missione analoga, e ci mancherebbe che non fosse così.
La difficoltà dell'impresa, il motivo per cui un campione così grande non ha ancora raggiunto la sua epifania, consiste proprio nella quantità e nella qualità degli oppositori. Delle storie di cui sono portatori, dai talenti cresciuti nelle banlieue al sogno di un popolo che le migrazioni hanno diffuso ovunque. È il football, signori. Il miglior modo di discutere di cose importantissime, fingendo di parlare di sciocchezze.
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