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Estratto dell’articolo di Salvatore Merlo per “Il Foglio” del 7 febbraio 2019
michelangelo pistoletto e la venere degli stracci a napoli
[…] Il genio di solito si concentra in un dettaglio, nei piedi di Maradona o nelle armonie di Mozart, che per il resto si muovevano da disadattati nelle cose del mondo. Ma per lui non è così. “Alcune mie opere consistono nell’aver diviso e moltiplicato uno specchio”, dice.
“Lo specchio vive di ciò che riflette, non ha proprietà, è lo zero. Ma se lo spezzi, ottieni due specchi (1 + 1), che riflettendosi poi l’uno nell’altro creano un terzo specchio. Quindi – come vede – 1 + 1 fa 3. Ma se poi questi specchi li muovi, noterai che si moltiplicano all’infinito. Eppure gli specchi sono sempre due.
michelangelo pistoletto foto di bacco
E allora anche il popolo sovrano non può essere composto da monadi che premono un pulsante. Ma dev’essere costituito da elementi che si congiungono e si confrontano, da associazioni, partiti, gruppi d’interesse economico o culturale. Altrimenti esistono solo gli individui. E l’individuo da solo non può fare nulla”.
Un po’ Sean Connery e un po’ Gaetano Salvemini, ma senza sovraccarico di serietà nell’espressione facciale, a ottantasei anni Michelangelo Pistoletto è l’ultimo e il più riconosciuto e quotato dei maestri dell’arte contemporanea italiana. Curvo in un blazer nero su bretelle nere su camicia nera su maglietta nera, il volto che sotto la barba raggia un’intelligenza vitale, e un vecchio Omega d’acciaio al polso. E’ spiritoso, e lascia subito trasparire una robusta prontezza di mente.
– Maestro, perché lei si veste sempre di nero?
– Una volta mi vestivo di tutti colori. Poi nel 1970 scrissi un piccolo libro che si intitolava “L’uomo in nero”. E da allora mi vesto soltanto di nero. Però…
– Però?
– Però quando vado a sciare sono multicolore.
– Lei scia, a ottantasei anni?
– Tutti quelli con cui sciavo hanno abbandonato, sono malati o sono morti. Quindi adesso scio con dei sessantenni. E quando noto che cominciano ad avere dei cedimenti, gli dico: “Ma quando sarete vecchi con chi andrò a sciare io?”
[…] “Da ragazzo sono stato incluso, unico non americano, nella pop art”. C’era Andy Warhol. “Che però aveva la sua ghenga. E poiché io non sono mai stato un tipo da ghenga non ci frequentavamo. Ero invece più amico di Roy Liechtenstein e di Oldenburg. Warhol stava sempre chiuso nella sua factory. Ma erano anni molto vivi. Negli anni Sessanta e Settanta c’erano alte espressioni di valore. E con l’arte povera il protagonismo internazionale tornò in Italia”, e Pistoletto ne fu il protagonista.
Poi però qualcosa si è come interrotto. “I movimenti artistici nel mondo sono finiti. E adesso abbiamo persone singole, che nella maniera più onesta e sensibile possibile, cercano di esprimersi”. Così ogni anno Pistoletto si reinventa. Scrive, disegna, martella, spezza, compone e scompone, spinto da una vitalità, da un carisma denso e fantasioso, sempre intriso d’ironia, che trascende l’anagrafe.
Le sue opere oggi vengono vendute a centinaia di migliaia di euro, in qualche asta newyorkese hanno superato il milione, sono state esposte nei musei di mezzo mondo, anche al Louvre, fanno sfoggio di sé nelle gallerie private e nelle case di facoltosi compratori. […]
Poi china la testa come un atleta che prende lo slancio per il salto, e dice: “Credo di avere avuto la fortuna di vivere in un momento in cui la società aveva bisogno del mio prodotto artistico. Per una sorta di coincidenza, di necessità. In questo senso io mi sento molto legato alla società. E’ il mio tempo. Ci sono determinati momenti storici in cui c’è bisogno, all’interno della società, di avere un certo tipo di prodotto. Forse ho avuto la fortuna di vivere in un momento in cui la società aveva bisogno del mio prodotto artistico”.
michelangelo pistoletto mela rigenerata
Bisogna anticipare, precorrere. Ma forse non troppo. “Agli inizi degli anni Sessanta ero sotto contratto con la galleria Galatea di Torino, che era la più importante galleria per l’arte figurativa. Lì esponevano Francis Bacon e Magritte, per intendersi. Nel 1961 arrivai a fare i primi quadri neri, con superficie lucida, già specchianti. Poi arrivai all’acciaio.
Questa cosa sconvolse il mio gallerista. Uno dei suoi migliori clienti era Gianni Agnelli. Un giorno, nel corso di una mostra delle mie opere, ero nascosto in un angolo. E sentii dire al gallerista, rivolto ad Agnelli: “Eh, lo so Avvocato. Purtroppo devo fare questa mostra. Sa, è un mio artista”.
Il Maestro non fa sfoggio delle proprie ricchezze, affettando piuttosto un’agiatezza disadorna. Vive a Biella in poche camere arredate con gusto classico – spezzato dalla presenza delle sue opere e ricavate all’interno di un grandissimo ex impianto industriale di fine Ottocento, restaurato, vincolato dai Beni culturali, e ribattezzato “Cittàdellarte”.
Tutta una parola. Si organizzano mostre, attività culturali, seminari, arrivano scolaresche, studenti da tutto il mondo, “qui ho costruito una università delle idee. Mi piace sviluppare il nuovo nel vecchio. Penso che scuola e università debbano illuminare la mente al di là dei saperi codificati.
Voglio dire che nella scuola è giusto lavorare su quello che esiste, ma bisogna inserire la creazione. Perché quando domina l’applicazione, diminuisce la creatività. Mentre il genio va oltre ciò che è predeterminato. Se c’è una cosa che l’arte moderna ha costruito è la grande libertà di immaginazione”. E questo vale anche per la scienza. […]
Poca scuola, dunque. Eppure è un uomo colto. Che si è esprime in un italiano denso, di parole e dottrina. “Ho la cultura dell’ignoranza… che è un grande vaso sempre pronto a riempirsi”, dice con un sorriso argenteo. “Non so decifrare la mia posizione culturale. Non possiedo un solo libro. In realtà quasi non leggo”.
Difficile crederlo. “Non ci credo neanche io, però è vero. Forse sono uno di quei personaggi del tempo antico che si rifanno alla tradizione orale”. E sembra tanto una boutade, una posa da artista, una stranezza, la corda pazza che c’è in ciascuno di noi.
[…]
C’è molta filosofia, e molta abilità comunicativa in Michelangelo Pistoletto. Una certa, spiccata e carismatica capacità di affabulare. Forse anche in questo sta il segreto del suo successo. Marketing? “Negli anni Cinquanta frequentai la scuola pubblicitaria di Armando Testa. Fu mia madre a volere che la frequentassi. Era biellese. Aveva una mentalità imprenditoriale. D’altra parte di cognome si chiamava Fila”.
Un altro nome in cui sembra impresso un destino. Come Michelangelo. “Mio nonno paterno si chiamava Michele. E forse il mio nonno materno si chiamava Angelo… In realtà non ho mai ben capito perché mi chiamo Michelangelo. Forse in effetti era una predestinazione”. […]
la venere degli stracci 1michelangelo pistolettomichelangelo pistoletto
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