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Emanuele Gamba per “la Repubblica”
«Qui non si fa l’Europa e men che meno si muore. «Un partita non può giudicare né pregiudicare una stagione » dice Massimiliano Allegri riprendendo il filo del discorso di Andrea Agnelli, alleggerendosi (ma davvero?) della pressione che opprime questa trasferta, che accorcia il respiro dell’attesa popolare, che si riannoda a tante e tante trasferte andate male, a tante e tante ambizioni finite nel secchio.
«Però siamo alla stretta finale, vogliamo e dobbiamo andare ai quarti, e poi vediamo cosa succede». Intanto vediamo cosa succede stasera, cosa vien fuori da questa partita che non giudica né pregiudica, e va bene, ma che qualcosa lo deve raccontare: non la si può passare liscia, non si può far finta di niente, non si può immaginare che la migliore (la stra-migliore) squadra del campionato italiano non abbia del dovere quasi civico di eliminare la decima della Bundesliga.
La stagione sarebbe positiva comunque, anche se la Juve cascasse gambe all’aria? «Per lo scudetto siamo messi bene, in Coppa Italia possiamo ancora farcela». Quindi sì. Però c’è questa strana voglia di non calcare la mano sull’importanza di questo snodo, sulla differenza non sottile tra entrare nelle prime otto d’Europa e rimanerne ai margini, come chi si limita a guardare la storia affacciandosi dalla finestra.
Il Borussia è all’altezza della Juve? Forse no, e se non avesse dubbi di esserlo non s’aggrapperebbe così disperatamente alla mistica del Westfalenstadion per trovare un punto d’appoggio. Se il pubblico facesse gol, i bianconeri non avrebbero vinto qui tre volte su tre. «Tornare qui è sempre un piacere», racconta Buffon rievocando le scorribande fatte anche con la Nazionale «perché sono sempre state spedizioni molto felici. Confermo: il tifo non segna, ma c’è modo e modo di tifare e qui lo si fa con trepidazione. Il fatto è che questo clima stimola anche gli ospiti, mica solo i padroni di casa».
Ribaltata pure questa frittata, la Juve che altro deve fare se non essere se stessa, esportando almeno un poco della clamorosa superiorità con cui dilaga in Italia? «Partiamo da un vantaggio. Spero di sbagliarmi, ma difficilmente finirà 0-0. Questo significa che per passare il turno bisognerà fare dei gol» illustra Allegri, che ha in mente la stessa tattica con cui vinse a Torino: difesa ordinata, possesso palla intelligente, ritmi ammorbiditi e strappi improvvisi negli spazi larghi: il pane di Tevez e Morata.
«Dobbiamo sapere che loro ci mettono grande velocità e grande pressione, quindi bisognerà giocare molto bene tecnicamente e andare a colpire dove loro hanno punti deboli»: cioè quando devono difendersi a campo aperto, principalmente. In fondo è un vecchio film: difesa e contropiede, senza troppi ghirigori.
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Resta da capire la formula dell’impasto. Nell’ultimo allenamento, sostenuto ieri mattina a Vinovo, Allegri ha collaudato il 4-3-1-2, ma non pare dare peso a tali quisquilie: «Ah, ‘sti benedetti numeri. Prima di sera dovrò decidere, perché poi giochiamo». Dopo aver vinto in casa, la Juve ha passato il turno 31 volte su 39, e tre su tre sempre dopo un 2-1. In trenta partite di andata e ritorno con le tedesche, ne ha perse appena tre: può forse essere la quarta quella che non giudica né pregiudica?
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