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Leonardo Coen per il "Fatto quotidiano"
vincenzo nibali vince la tredicesima tappa del tour sulle alpi
Rafal Majka, il futuro. Vincenzo Nibali, il presente. Il giovane polacco vince a Saint-Lary Pla d’Adet, dove si conclude la tappa più corta, spettacolare e cattiva di questo Tour: quattro salite micidiali, l’ultima sino al traguardo, tutte concentrate in 60 chilometri. Il messinese neutralizza con disarmante facilità gli attacchi: nel finale piazza due o tre allunghi dei suoi, pedinato da un testardo Jean-Christophe Péraud, il più tenace dei francesi. Conquista un terzo posto, dietro un altro siciliano, Giovanni Visconti, che aveva sfiorato l’impresa: raggiunto e superato dallo scatenato Majka, a tre chilometri dall’arrivo.
vincenzo nibali vittorioso al tour de france
Nibali consolida il primato, rifila ad Alejandro Valverde e alla tanto strombazzata nouvelle vague francese altri 50 secondi. Come dire: una manganellata. Sostanza e tempi sono inseparabili, declama la poetessa Patrizia Valduga. I numeri della classifica raccontano che il Tour 2014 è sempre più di Nibali. Non ha patito ancora un giorno di flessione, che fisiologicamente ci può stare. Il cruccio riguarda certe critiche ingiuste e ingiustificate: con Froome e Contador la sua non sarebbe la passeggiata che è. Balle, perché la corsa sarebbe stata ingessata da tatticismi e schemi scontati: e poi, fin quando sono stati al Tour, i due stavano dietro, e non davanti in classifica.
QUANTO alle insinuazioni del quotidiano Le Monde sulle sue prestazioni, non si è fatto psicologicamente destabilizzare. Anzi, replica pacatamente di battersi contro questa piaga. Il suo passaporto biologico è pubblico. Quest’anno è stato controllato almeno quaranta volte. Al Tour, ogni giorno.
Possiamo discutere casomai del fatto che ha scelto il Canton Ticino per residenza, come tantissimi altri corridori: pagano meno tasse, hanno conti protetti dal segreto bancario. Solo a Lugano, ci sono ventimila italiani che hanno fatto come lui... nessuno, però, è in grado di vincere, come lui, un Tour de France.
A Parigi mancano appena 570 chilometri. Quelli che contano, però, sono meno della metà: i 145 di oggi e i 54 di sabato, a cronometro. I Pirenei si congedano con la leggenda del Tourmalet e l’ascesa al traguardo dell’Hautacam. Nibali vuole vincere dove si fa la storia del ciclismo. È un arrivo pensato per Contador. Sarà la sfida nella sfida di Vincenzo. Ormai più che combatterlo e batterlo, gli avversari possono infatti solo abbatterlo. Semmai, impressiona la qualità della corsa di Vincenzo: sicura, elegante, razionale. Il che non significa che sia contenuta. La postura in bici e la sua pedalata sono assai redditizie. Maschera lo sforzo, calibra l’impegno: ha una dote su tutti, l’imprevedibilità. Talvolta, improvvisa. Come ieri che ha prodotto un paio di scatti per valutare le condizioni dei nove che stavano con lui, a cinque chilometri dal traguardo. Non ha esagerato: avrebbe potuto riprendere Visconti e Majka, ma sono amici. Giovanni, è vero, lavora per la Movistar di Valverde, però è siciliano. C’è rispetto e stima, e questi sentimenti non scalfiscono la loro professionalità. Perché avvilirlo?
Quanto a Majka, e alla sua prestigiosa maglia a pois di migliore scalatore, lo ha rassicurato: non è quello il mio obiettivo prioritario, dipende da te, il Tourmalet setaccerà impietosamente il gruppo, l’Hautacam farà sconquassi.
LE CORSE affollate come il Tour o il Giro sono complicate e difficili da gestire, specie nella terza settimana, quando la fatica affiora e le squadre sono sollecitate al massimo sforzo. Roba quasi da ragionieri del pedale. Miguel Indurain, in questo senso, è stato un maestro: non per nulla ha vinto cinque Tour di fila, oltre a due Giri e un oro olimpico.
In questi giorni c’è chi ha paragonato Nibali a Indurain, ma è un accostamento improprio.
Miguelon non aveva la fantasia di Vincenzo, né il temperamento fumantino di Gianni Motta, imprevedibile negli acuti come nei tonfi, altro campione che è stato accostato al siciliano.
Nibali è piuttosto un ibrido, come i motori sofisticati delle auto più moderne: ha il carburatore di Felice Gimondi, e il colpo d’occhio di Moreno Argentin. Gestisce la squadra con intelligenza, come ai suoi tempi sapeva fare Fausto Coppi.
Quando viene intervistato a fine tappa, l’analizza con lucidità e sintesi, dimostra di padroneggiare non solo la bici, ma il linguaggio per raccontare l’evoluzione di uno sport dove fatica e sacrifici sono la miscela indispensabile. L’onore perduto dell’Italia sportiva è nelle sue mani. Pardòn, nei suoi pedali.
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