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MONTALI È MONTATO? L’EX COACH DI VOLLEY E MANAGER SPORTIVO, GIAN PAOLO MONTALI, RIVELA CHE TRUMP BARA A GOLF: “ALCUNI LIBRI SPIEGANO COME NON SEGNI I PUNTI IN MODO CORRETTO E SPOSTI LA PALLINA CON IL PIEDE...” - “HO IMPARATO A FARE COSE NUOVE PERCHÉ HO SAPUTO CAMBIARE: GUAI A RIMANERE UGUALI” – LA RIVALITA’ CON VELASCO (“CI PUNZECCHIAVAMO ANCHE NELLA COMUNICAZIONE: LUI CITAVA MÁRQUEZ, IO PIRANDELLO. E LA GENTE COMMENTAVA: SONO MATTI”), I TIFOSI ROMANISTI CHE LO ACCOLSERO CON UNA GHIRLANDA DA MORTO, TOTTI E LA POLITICA...

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Flavio Vanetti per il "Corriere della Sera" - Estratti

MONTALI

 

La chiacchierata parte con una provocazione: «Carlo Magri, ex presidente della Federvolley, sostiene di averla licenziata dalla Nazionale». Gian Paolo Montali scuote la testa, accenna un sorrisetto e risponde: «Non è così. Però mi astengo dal replicare». Sorpresa: colui che passa per essere un tipo che non ne perdona una, a volte sa fermare la lingua.

 

Ha studiato medicina...

«Per diventare dentista. Poi ho visto la luce sulla via di Damasco: guidando una squadra di ragazzini ho capito che mi sarebbe piaciuto gestire gli atleti. Alla Maxicono Parma ho vinto quattro titoli giovanili di fila: a 26 anni mi hanno messo sulla panchina in quel momento più importante della pallavolo italiana».

 

Perché il volley?

«Perché l’ho giocato fino alla serie B. Livello più basso che medio: ero riserva. Ho maledetto gli allenatori: non capivo perché un talento così grande ( ride, ndr ) restasse in panchina».

 

Che cosa l’affascinava di questo sport?

gian paolo montali urbano cairo andrea abodi foto mezzelani gmt

«Il coinvolgimento del gruppo. Il volley è giocato dal maggior numero di persone nel minor spazio possibile, con la necessità, per fare punto, di passarsi la palla. Poi mi ha intrigato la rete che divide: devi battere l’avversario senza il contatto fisico, ma con la strategia e la tattica. Insomma, devi usare bene quei centimetri che stanno sopra le sopracciglia».

 

Lei è più allenatore o manager?

«Entrambe le cose: Benetton mi chiese di gestire ogni aspetto della Sisley volley. Quando ho smesso con la pallavolo ho portato il mio modello nell’organizzazione sportiva. Sono un perfezionista all’inverosimile, maniaco dei dettagli. Un pregio? Sì, ma anche un difetto. Nella mia “prima vita” mi sono sempre adoperato per vincere ed essere il migliore: è come avere una scimmia su una spalla».

 

Montali è «montato»: qualcuno l’ha detto.

gianpaolo montali foto mezzelani gmt74

«A 26 anni allenavo in A, a 29 feci il Grande Slam. L’immagine dall’esterno poteva essere quella, ma era un modo per difendermi. Se parlate con i miei giocatori, il giudizio è differente: non essendo stato un gran pallavolista, mi facevo aiutare dai più esperti. Sono stato sempre “vero” e credibile: devono essere le prerogative di un capo».

 

Preferisce il Montali del «prima» o quello del «dopo»?

«Non faccio differenza. Ma c’è chi dimentica che ho vinto trenta medaglie d’oro e un argento olimpico. Il vantaggio nel “dopo” è che sono stato un manager trasversale: dal volley sono passato al calcio, quindi sono stato “ad” di una start up e poi direttore generale della Ryder Cup di golf, un progetto di sette anni durante il quale sono cambiati cinque governi, con altrettanti premier e referenti per lo Sport. Ho imparato a fare cose nuove perché ho saputo cambiare: guai a rimanere uguali.

Io sono poi un ladro di idee: però cito sempre chi me le fornisce».

 

ryder cup 2023 golf - montali

Perché si è voluto creare una diarchia con Velasco?

«Allenavo a Parma e Julio a Modena, piazze rivali. Io arrivo e vinco la Coppa Italia a casa sua: tutto comincia così. Ci punzecchiavamo anche nella comunicazione: lui citava Márquez, io Pirandello. E la gente commentava: sono matti. Si è creata questa situazione, ma è bene avere un avversario forte affinché la tua vittoria abbia valore. Ho comunque stima di lui. E lui di me».

velasco il laureato

 

(...)

 

Tema: la Juventus. Svolgimento libero.

«Mi chiamò John Elkann: “Dopo Calciopoli dobbiamo cambiare lo stile della società”. Sono attratto dalle sfide in campi che non sono i miei, quello era un bellissimo progetto quadriennale: ci saremmo stati solo io e Tardelli, come uomini di sport. È stato un master, la Juve è l’unico club con un modello non esclusivamente sportivo. Sono diventato “gobbo”? No. Pensate che mi era simpatica la Fiorentina, oltre ovviamente al Parma».

 

Avrebbe dovuto finire al Napoli, invece andò alla Roma.

JULIO VELASCO E PAOLA EGONU

«Rimasi sette giorni da Aurelio De Laurentiis, persona squisita. Stavo per firmare: avevo scelto l’allenatore, Mazzarri, e il direttore sportivo, Bigon. Lessi però l’ultimo comma del contratto: i proventi per i miei diritti di immagine andavano a lui. Eccepii, De Laurentiis tagliò corto: “Funziona così”. Gli chiesi un po’ di tempo per riflettere.

 

Tornai a casa e accesi la tv mentre Sky annunciava che non sarei andato al Napoli. Poco dopo mi telefonarono Rosella Sensi e Paolo Fiorentino di Unicredit. Li incontrai quella stessa sera e mi convinsero a diventare d.g. della Roma: non fu semplice dirlo a De Laurentiis».

 

Con la Roma l’esordio fu complicato.

«Era terz’ultima, tiravano sassi al pullman. Scena del primo giorno. Via dei Gladiatori: siamo fermi, polizia in assetto di guerra. I tifosi vogliono che scendano il capitano e un dirigente. Totti si rifiutò, scesi io. La polizia aprì un corridoio, i tifosi vennero da me con una ghirlanda da morto. “Lei non c’entra nulla, ma adesso va sul pullman con la ghirlanda, la dà ai giocatori e dice che sono dei morti: se non vincono questa partita non escono di qui”. Risalii, trovai chi scoppiava dal ridere. Uno mi disse: “Benvenuto nel mondo della Roma”».

 

 

MONTALI

Roma l’aveva conosciuta anche nel volley: e fu scudetto.

«Dicevano che fosse impossibile vincere. Invece bisognava solo creare le giuste coordinate sportive. E non raccontare bugie».

 

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Lei scrive libri, è docente universitario e tiene «speech» per manager e aziende.

«Alla Juve mi sono occupato pure del canale televisivo. L’ultimo libro, “La memoria della pelle”, l’ho scritto con il professor Marco Trabucco Aurilio e l’oncologo Paolo Ascierto: invita alla prevenzione e racconta la storia di una ragazza che sfida un tumore della pelle. Scrivere mi attrae, credo al concetto dell’“impollinazione”. Ovvero: chi ha certi ruoli deve donare al prossimo i frutti migliori. Un giorno mio figlio mi disse: “Il professore mi ha chiesto quale lavoro fai ora”. Gli risposi: “Digli che mi occupo di impollinazione”».

DONALD TRUMP GIOCA A GOLF

 

È mai stato cercato dalla politica?

«Provengo da una famiglia cattolica, con uno zio prete: da bambino, mia mamma mi spediva da lui se facevo una marachella e alla vigilia di Natale dovevo recitare il rosario in latino. Sì, la politica ha provato a tirarmi per la giacca da più parti, ma non mi ha mai convinto. Sono di destra o di sinistra? Io sono un uomo di sport».

Donald Trump è un golfista...

«Lo è, però alcuni libri spiegano come non segni i punti in modo corretto e sposti la pallina con il piede...».

trump gioca a golfDONALD TRUMP GIOCA A GOLFtrump gioca a golf