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Guglielmo Buccheri per “La Stampa”
Ora che l'ha vinta, vale una Champions. Josè Mourinho è fatto così: o tutto, o niente. «Oggi sono romanista al 100 per cento, da Trigoria non mi muovo...», dice in lacrime. Romanista oggi come interista la notte di Madrid, dodici anni fa: dopo la coppa del Triplete nerazzurro se ne andò, adesso no. O tutto, o niente.
Mou attraversa le epoche del pallone e vince. «Solo io, Trapattoni e sir Alex Ferguson abbiamo vinto in tre stagioni della vita lontane tra loro. Bello per la mia carriera, nelle prossime ore vado al mare davanti casa mia...», racconta. Bello per Mou e bellissimo per l'Italia: al sipario degli undici mesi tra i più bui della nostra storia recente riecco il portoghese a riaccendere un po' di luce come, la luce, più intensa, accese sulla panchina dell'Inter. Da Mou a Mou: la narrazione si ripete.
E la narrazione la aggiorna l'unico tecnico al mondo, da ieri notte, ad aver vinto ogni coppa esistente visto che la Conference League, una stagione fa, ancora non esisteva sul campo, ma solo come premessa e novità. Roma va in orbita, il suo comandante anche. Lo Special One ci aveva provato a cambiare abito, senza, a dire la verità, convincere più di tanto: non conta il mio carisma, conta quello che faranno i ragazzi, la riflessone da Tirana a poche ore dal duello. Il carisma di Mou ha pesato, eccome.
E ha pesato nella testa di un gruppo sotto i riflettori come un'orchestra dove non stecca nessuno: la bellezza è un'altra cosa, ma con la bellezza, capita, si rischia di vincere meno. Roma non smette di festeggiare una sensazione: al netto della Coppa delle Fiere, prologo alla successiva Coppa Uefa, mai la lupa giallorossa aveva luccicato una coppa. «Quando trionfi con squadre come questa non è la stessa situazione.
Si tratta di qualcosa di speciale...», continua Mou. Speciale è stata la sua strategia, perché capire come la Conference fosse l'unica via percorribile per il paradiso è stata una mossa geniale: da Tirana, esce l'immagine di una Roma che dà del tu all'Europa. I suoi ragazzi lo osannano. «Josè Mourinho....», è il coro che gli dedica uno spogliatoio in fibrillazione. La Capitale è là, distante, ma non molto nella notte dolcissima di Tirana.
Mou torna a Roma da imperatore perché, a Roma, o si è tutto o niente. «Io rimango anche se arriva la grande offerta. Vincere quando tutti se lo aspettano - dice - è facile, così no: ho fatto felice un popolo...». Una pausa, poi lo stop: entrano i suoi ragazzi e la conferenza si interrompe perché Josè sparisce nello spogliatoio aggrappato alle spalle di Pellegrini e Spinazzola. Il treno dei desideri è partito.
Prima, molto prima, in campo Mou agitava la mano aperta: il cinque è il suo numero perfetto, cinque come le coppe alzate al cielo. O tutto, o niente. «Vincere è la cosa più dura al mondo. Ora vado al mare di casa», le ultime parole dello Special One. Poi, il treno dei desideri: la squadra è lui. Roma è già in strada, la Roma lo farà oggi nella festa infinita: la Conference se non vale una Champions conta più dell'Europa League. «Con tutto il rispetto, avete visto chi è arrivato nelle semifinali della nostra coppa e dell'Europa League? Da noi le più forti...». Mou si commuove.
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