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Maria Luisa Ghianda - https://www.doppiozero.com/materiali/napoli-napoli-di-lava-porcellana-e-musica
napoli capodimonte la parrucca fallica
Meraviglia e malia suscitati dal connubio fra la regalità di Capodimonte e la magia della musica, dell’arte e del teatro: Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica, è una mostra empatica e stupefacente. Visitabile alla Reggia di Capodimonte fino al 20 settembre 2020, mette in scena la cultura come festa, presentando la vita di corte nella Napoli settecentesca e facendola artificiosamente rivivere ai visitatori/spettatori.
All the world is a stage: mai verso è stato più veritiero se attribuito alla città e alla gente di Napoli, allora come ora.
Ma non basta. Se fosse riferito a Napoli, In visceribus urbis, titolo di un capitolo della Storia di Venezia di Manfredo Tafuri, per parafrasi, suonerebbe invece: urbis viscera in urbe, le viscere della città nella città (e anche dentro e pure sopra ed ancora sotto), dove per viscera è da intendersi l'anima stessa di Partenope, insieme a quella della sua gente, che vive ‘consustanzialmente’ nelle case e nelle cose, nei pensieri e nei modi, nelle forme e nell’essenza della sua e della loro vita quotidiana. Infatti, in ogni manifestazione, fisica o spirituale, reale o virtuale che la riguardi, “Napoli è" la propria anima (oh, l'intuito di Pino Daniele e della sua Napul'è!).
Per mettere in mostra questa verità (che Napoli è troppo impegnata a vivere) ci sono però voluti due francesi, un curatore, Sylvain Bellenger (attuale direttore del complesso di Capodimonte, in carica dal 2016 e recentemente riconfermato) e un allestitore, Hubert le Gall, architetto e scenografo.
Così come l'anima partenopea l’ha saputa cogliere e immortalare in romanzi e racconti e persino in un dizionario (Le Dictionnaire amoureux de Naples, Plon, 2007, pubblicato in italiano nel 2018 da Il Mondo di Suk) un altro francese innamorato di Napoli, Jean Nöel Schifano. E questo perché fra Napoli e la Francia c'è sempre stata sintonia, dagli Angioini (che molto vi si sono prodigati) ai Borbone, non escludendo i Bonaparte, esse hanno condiviso un identico amore per il bello, esente da ogni moderazione.
Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica è l’acme di una trilogia di mostre (Carta Bianca, 2018; Capodimonte Imaginaire, depositi di Capodimonte) concepite dal suo direttore per valorizzare le collezioni di uno dei più bei musei d’Italia.
Con il catalogo di Electa (pp. 220, € 32,00), che l’ha anche promossa insieme al Teatro San Carlo, ambientata al tempo di Carlo e di Ferdinando II di Borbone, la rassegna occupa 19 delle 54 sale che oggi formano l’appartamento reale al piano nobile della Reggia, esponendo al pubblico oltre 1000 oggetti.
Di pezzi di porcellana, preziosissimi, se ne contano ben 378, provenienti dalle Reali Fabbriche di Napoli e di Capodimonte, dalla Manifattura di Sèvres, da quelle di Meissen e di Vienna e da altre manifatture europee, oltre a cineserie, tutti attualmente parte delle collezioni delle principali residenze reali borboniche.
72 sono le pitture (tra cui i piroclastici acquarelli di Pietro Fabris per sir William Douglas Hamilton) e moltissime le sculture, tra le quali i puttini di Giuseppe Sanmartino (autore del Cristo Velato nella Cappella Sansevero) e La Notte di Bertel Thorvaldsen (autore del modello del monumento funebre a Corradino di Svevia in Santa Maria del Carmine, quello stesso Corradino di cui Jean Nöel Schifano ha narrato la tragica fine ne La danza degli ardenti, Pironti, 1994).
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Vi sono esposti anche 326 mobili, per non parlare degli strumenti musicali (i pianoforti di Paisiello e di Cimarosa e l’arpetta Stradivari), appartenenti al Conservatorio di San Pietro a Majella, uno dei quattro sorti a Napoli nel cinquecento con la missione filantropico-sociale di tenere lontani i bambini poveri dalla strada educandoli al bel canto.
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Indosso a manichini neri, mascherati e teatralmente atteggiati, nella rassegna compaiono oltre 150 costumi, direttamente usciti dalla sartoria del San Carlo (la più parte risalenti agli anni ottanta, alcuni a firma di Ungaro, di Odette Nicoletti, di Giusi Giustin), le cui parrucche sono dei veri e propri ‘bals en tête’ che avrebbero fatto invidia a Marie Antoinette, al suo famoso parrucchiere Léonard, e a tutta la sua corte di Versailles.
Vi sono poi esposti anche numerosi oggetti d’arte e di arredo e poi minerali e animali impagliati, di proprietà dei Musei Mineralogico (inaugurato nel 1801) e Zoologico (nato nel 1813), oggi annessi all’Università Federico II. Insomma, si può ben dire che questa allestita a Capodimonte sia la wunderkammer più ricca che si sia mai veduta da che mondo è mondo ed anche la più grande, non già riservata a pochi eletti, come quelle un tempo allestite nei gabinetti dei principi, bensì offerta allo sguardo di tutti coloro che scelgono di visitarla.
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Ma è anche un presepe laico, con statuine a grandezza d'uomo, con suoni, con luci e con artifici scenografici, che, come nella miglior tradizione presepiale napoletana, celebra il genio di un popolo e il suo amore per la vita e per l'arte espressa in tutte le sue declinazioni.
Sala del Grand Tour: gruppi di manichini in costumi settecenteschi. Dai viaggiatori stranieri, Napoli era allora percepita come un luogo mitico ed esotico, per la presenza del Vesuvio e degli altri fenomeni vulcanici, dei Campi Flegrei e della Solfatara di Pozzuoli, ma anche, e soprattutto, per le rovine di Ercolano e di Pompei e per il Lago d’Averno, che, secondo la tradizione classica, dava accesso all’Ade (Virgilio, Eneide, Liber VI; Dante Alighieri, Inferno).
Sala della Parrucca: una scena. Da un articolo tratto dalla rivista Haude-Spenersche Zeitung, Berlino, 1775: “Le signore si distinguono per altre bizzarrie, come quella di far diventare ogni giorno più alte le loro acconciature. […] Vediamo così una dama con un villaggio in testa, un’altra con un bosco intero, un’altra ancora con un bel prato o un gran ponte. […] Un artista ha sfruttato l’occasione per impreziosire ancor più gli ornamenti ricorrendo alla meccanica, cioè nascondendovi scatole musicali che ogni tanto suonano, o anche canarini gorgheggianti.”
Questa è una mostra ‘notturna'. Si procede al buio, attratti dalle ‘luci di scena', sapientemente orientate, come a teatro, sull’evento da osservare, di volta in volta rappresentato dai manichini e/o dalle opere, così che ciascuno di essi si disvela agli occhi piano, piano, come per effetto di magia, come accade nei sogni, sortendo effetti di stupore e d’incantamento.
Ma è soprattutto l’udito a essere totalmente coinvolto, perché la musica regna sovrana in ogni stanza (ascoltabile in cuffia), quella di Giovanni Pergolesi, di Domenico Cimarosa, di Giovanni Pacini, di Giovanni Paisiello, di Leonardo Leo, di Niccolò Jommelli, con brani selezionati da Elsa Evangelista, direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella, e con commenti critico-musicali di Alessandro De Simone, nipote del Maestro Roberto De Simone, a cui la mostra è dedicata.
Si tratta della musica della Scuola Napoletana, che proprio nel XVIII secolo ha fatto di Napoli la capitale mondiale di quest’arte e alla quale hanno guardato persino Händel, Haydn e Mozart, che, nel 1778, le ha persino reso omaggio ambientando proprio a Napoli e sulla sua costiera Così fan tutte.
‘C'era una volta’… è l’incipit di tutte le fiabe e Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica ci narra la “favola bella” della Napoli del settecento, per di più, come sono usi fare i giochi virtuali, essa ci introduce in una dimensione fantastica, ma lo fa per davvero, rendendoci fisicamente partecipi di quel mondo, con il mettere in scena, per il tramite delle cose dell’arte, il gran teatro della sua vita.
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“La storia è un incessante conflitto fra l’unione e la divisione” scrive Sylvain Bellenger nella sua prefazione al catalogo “la decomposizione e la ricomposizione. Studi, specializzazioni, poteri, campanilismo istituzionale e politica cancellano mondi che una volta parlavano la stessa lingua, avevano lo stesso profumo, la stessa retorica. Questa dunque è la sfida (e il compito) più grande per gli storici, soprattutto per gli storici dell’arte: ritrovare e ricomporre l’armonia sensibile di un’epoca.
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E questa è la sfida della mostra Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica: dimostrare, mettendole in scena, che tutte le scienze e le discipline sono figlie dell’estetica, e che l’estetica è la più profonda verità di ogni tempo.”
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