
DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI…
Matteo De Santis per "La Stampa"
La somiglianza, per ora, è solo nelle ultime quattro lettere del nome. Da stasera, quando il nuovo BayernMonaco «guardiolizzato » e il Borussia Moenchengladbach apriranno le danze, l'intera galassia pallonara si divertirà a scovare le presunte affinità tra la Bundesliga e la Liga. Non solo nel bene, semmai più che altro nel male. Il campionato tedesco, ritornato prepotentemente in auge, rischia di fare la fine di quello spagnolo: bello, bellissimo, spettacolare ma completamente tirannizzato da due sole squadre.
Le premesse, abbondantemente foraggiate dalla scelta di Pep Guardiola di trasferire il suo catechismo calcistico in Baviera, ci sono tutte: BayernMonaco e Borussia Dortmund come Barcellona e Real Madrid, con il resto del reame costretto a guardare e a doversi accontentare delle briciole. Nonostante la concreta minaccia di scoprirsi molto poco democratica, la Bundesliga che parte oggi non avrà problemi di visibilità e popolarità planetaria.
Merito delle recenti imprese europee delle solite Bayern e Borussia, duellanti nell'ultima finale di Champions, nonché della curiosità dettata dallo sbarco di Guardiola, ma anche dei frutti portati da una precisa politica centralizzata. Poca fantasia in tempi di finanza creativa globale, ma tanta serietà , praticità e concretezza.
L'aver rispettato, con scrupolosità teutonica, i comandamenti di stadi di proprietà sempre affollati, vivai verdissimi, strutture a cinque stelle, apertura agli stranieri e conti sempre in ordine (l'ultimo bilancio chiuso con un saldo negativo dal Bayern, ad esempio, risale al 1979) è servito a fare del campionato tedesco un modello da seguire e una meta ambita anche da attori di primissima fascia.
Non a caso il principale motivo d'interesse della Bundesliga che sta per partire risiede in Guardiola e in che cosa riuscirà a combinare con un Bayern fresco di triplete. Il rovescio incassato alla prima apparizione ufficiale, con il Borussia Dortmund in Supercoppa (4-2), non è passato inosservato e ha permesso a critici e gufi, pronti a sparare sull'ex tecnico del Barça, di sentenziare che a Monaco si stava meglio quando in panchina c'era il faccione rosso di Jupp Heynckes.
«Sono qui per vincere - ha detto Guardiola - ma conquistare un titolo è utile solo per un giorno. Per me è più importante che i miei giocatori mi dicano che il mio lavoro è stato utile a loro». Finora, secondo qualche spiffero carpito dalla stampa tedesca, nessuno dei nuovi discepoli dovrebbe averlo detto a Pep. Anzi, più di qualcuno non avrebbe accolto con favore i primi passi della rivoluzione guardioliana: Mandzukic, Lahm, Pizarro, Robben e Ribery per motivi tattici. Luiz Gustavo, vedendo arrivare Thiago Alcantara (tramite il fratello di Guardiola, procuratore) e reclamando la cessione, per questioni di principio.
Più tranquilla, almeno nelle apparenze, la situazione in casa di Jurgen Klopp e dell'antagonista Borussia Dortmund, senza più Götze (scippato dal Bayern per 37 milioni) ma rafforzato dagli arrivi di grido di Mkhitaryan dallo Shakthar (27,5 milioni) e Aubameyang dal Saint-Etienne (13).
Il «Meisterschale », il piatto della vittoria, sarà un discorso per le solite due. Per tutte le altre, a partire dal Bayer Leverkusen e dal Werder Brema degli italiani Donati e Caldirola, c'è il campionato degli umani, dal terzo posto in giù.
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