RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Sandro Orlando e Antonio Formisano per Oggi- www.oggi.it - Estratti
La sua prima gara l’ha corsa in quinta elementare. A Serle, sull’altopiano di Cariadeghe, nel lontano 2007. «Guarda che sono i Campionati italiani, non pensare di vincere», lo avvertì suo padre: «Arriverai dietro, quindi non metterti a piangere». Yeman Crippa tornò a casa con una coppa e un tempo da paura: 2 minuti e 27 secondi sui mille metri, nove secondi in meno rispetto al secondo classificato. «Neanche Alberto Cova o Francesco Panetta a dieci anni correvano così forte», commenta il suo allenatore, Massimo Pegoretti, per gli amici Pego.
La scelta di lasciare il calcio per l’atletica fu di conseguenza obbligata. Sempre con l’incoraggiamento del papà Roberto: «Tanto sei scarso col calcio», gli disse, «meglio che provi». «Correre anche solo mezz’ora mi pesava, mi stufavo», ricorda Yeman. «Mi piacevano solo le gare, perché arrivavo davanti». A 13 anni fa il record italiano sui 1.500 metri, e poi è un crescendo: oggi a 27 anni Yeman Crippa detiene tutti i primati nazionali sulle distanze che vanno dai 3 mila metri alla maratona.
«Ero in crisi perché volevo fare il calciatore», continua l’atleta, «ma piano piano, mi ha fatto piacere la corsa. All’inizio cercavo di saltare gli allenamenti. Ma lui senza mettermi pressione, mi ha fatto migliorare tanto. Abbiamo creato un bel rapporto, potrebbe essere il mio fratello maggiore. È stato un mezzofondista, quindi certe dinamiche le conosce. E mi capisce quando ci sono i giorni che non vanno».
Pego segue Yeman Crippa da 14 anni. Letteralmente, perché gli va dietro in bici nei suoi doppi allenamenti quotidiani, lungo l’Adige o nel campo di atletica di Trento. Nelle 12 ore precedenti quest’intervista, insieme hanno macinato 43 chilometri. Con tanti saliscendi, in vista dell’Olimpiade di Parigi, dove Yeman correrà la maratona sabato 10 agosto.
«Non sarà una gara fatta sul ritmo», osserva, «perché ai Giochi Olimpici non ci sono lepri e quindi le azioni si fanno dal 30° km in poi, quando si sono persi già un po’ di minuti. Correre per fare 2h03’/2h04’ mi sembra quasi impossibile, soprattutto con un percorso così. La salita che porta a Versailles è lunga 700 metri, una rampa bella tosta con una pendenza del 13 per cento, e dopo si scende sulla Senna».
Sarà quindi una gara tattica, che si deciderà negli ultimi chilometri?
«Sicuramente, perché non è come il ciclismo: andare in fuga da solo è difficile. La maratona mi ha insegnato ad essere più paziente, perché chilometro dopo chilometro ci sono delle cose che succedono e devi capire la fatica che sta facendo il tuo fisico, e che cosa puoi fare. Mai agire d’istinto, bisogna avere la pazienza di aspettare».
Lo scorso marzo a Siviglia ha avuto pazienza, e con 2h06’06” ha fatto il nuovo record italiano.
«Lì si trattava di fare il minimo per andare alle Olimpiadi. Potevo valere 2h04’, ma se partivo per fare quel tempo e qualcosa andava storto, mi giocavo la qualificazione. Ho fatto una gara in progressione, al 30 km ero ventesimo, e sono arrivato quarto. Ho finito anche bene, non muscolarmente cappottato».
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Da 14 anni fa l’atleta professionista. Si allena due volte al giorno, ogni giorno. Non le pesa questa vita?
«Ci sono dei momenti in cui penso che vorrei andare in vacanza ora, invece che tra due mesi. Ma poi mi dico: se non ci vado, è perché sto preparando una cosa molto bella, che in tantissimi si sognerebbero di fare».
Da tre anni convive con Sofia, la sua fidanzata. Avete progetti di far famiglia?
«Adesso la mia vita è un mese a casa, un mese fuori. Se avessi dei bambini, vorrei essere presente, e allora dovrei rinunciare a qualche raduno e al tempo che dedico ad allenarmi. La voglia di fare una famiglia c’è, eccome, ma non voglio avere rimpianti. Ho ancora dei piccoli sogni su cui vorrei concentrarmi».
Chiama piccoli sogni una medaglia alle Olimpiadi o ai Mondiali. Da dove viene questo basso profilo?
(Nel frattempo c’è un viavai di persone di tutte le età che vengono a congratularsi con Yeman, e a farsi un selfie con lui. Il 10 agosto, c’è da scommetterci, tutta Trento sarà incollata alla tivù a seguire la sua maratona, ndr)
«Nei ritiri in Kenya ho imparato a lavorare duramente senza lamentarmi, perché lì l’atletica è vissuta come una via d’uscita e per questo è fatta con passione. I grandi atleti africani sono tutti molto umili, gente tranquilla che non si vanta. Se da noi vai a parlare con uno che ha vinto le Olimpiadi, quasi neanche ti rivolge la parola».
Lei è nato in Etiopia, e a sei anni è arrivato in Italia, con un’adozione internazionale, insieme a cinque fratelli e due cugini. Che rapporto ha con il suo Paese di origine?
«Lì ho sempre il cuore. Ci sono tornato nel 2017, ma l’ho trovato molto stressante: al rientro dagli allenamenti, stavamo un’ora nel traffico di Addis Abeba.
Capisco ancora qualcosina di aramaico, ma faccio fatica a parlare. Invece mi sento quasi a casa a Iten, in Kenya, perché ho il gruppo con cui mi alleno, e conosco le persone. Iten è una città fondata sull’atletica, lì chi ha i soldi sono gli atleti e quindi gira tutto intorno a loro: i fisioterapisti, i tassisti che ti portano ad allenare... Un europeo ci vive con niente».
Cos’è che è riuscito a migliorare in questi anni, a parte i tempi?
«Credo più in me stesso. So che posso mettere in difficoltà tutti, quindi non parto più per arrivare dietro. Ho anche più voglia di lavorare, perché per correre la maratona devi essere un mulo e quindi devi avere anche la testa per reggere certi allenamenti. Perché vai a dormire stanco e la mattina dopo ti tocca ricominciare. E, piano piano, mi sta pure piacendo».
Sorrido pensando alla frase di suo papà: “Non pensare di vincere”. Non credeva proprio nelle sue capacità?
«Zero. Lui è uno molto competitivo, e mi massacrava quando giocavamo a pallone. Mi dice sempre: “Quando ti intervistano, ricorda che è merito mio il carattere che hai. Chi è che te lo ha tirato fuori?”».
Ma oggi segue le sue gare?
«C’è sempre, dappertutto. C’era agli Europei di Roma, agli Europei di cross a Bruxelles, alla maratona di Siviglia. Ha prenotato le Olimpiadi dall’ottobre scorso».
Per lei è importante sapere che c’è?
«Assolutamente, sono stracontento. Anche se è un po’ ansioso per i risultati, e dieci giorni prima di una gara comincia a dirmi: “Quest’avversario è pericoloso, fai attenzione a quell’altro, te lo dico da semplice tifoso”».
E lei?
«Gli ho chiesto di non parlare di atletica nelle ultime settimane. Anche se poi mi deve dire che la sera non riesce a dormire per l’ansia. E se lui è in ansia, figurati io, che poi me lo dice pure…».
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