DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Michele Serra per “la Repubblica”
Dopo la Federazione internazionale degli sport d'acqua, anche quella del rugby ha deciso di sospendere l'ammissione delle atlete trans alle competizioni femminili. Anche se i comunicati ufficiali non lo dicono esplicitamente, la causa è l'evidente sproporzione di mezzi fisici tra le persone nate e cresciute con corporatura maschile e le atlete cisgender, ovvero femmine per nascita e per identità di genere.
Clamoroso il caso di Lia Thomas, la nuotatrice americana che ha stravinto ogni gara e frantumato ogni record femminile perché, avendo più o meno il fisico di Michael Phelps, non aveva avversarie.
Se è del tutto comprensibile il duro travaglio di una persona transgender, bersaglio di umiliazioni e discriminazioni feroci, è tutt'altro che trascurabile la mortificazione di atlete femmine che si vedono surclassate da corpi maschili, o ex maschili, che rivendicano una identità femminile. Inevitabile, nelle nuotatrici sgominate da Lia Thomas, la sensazione di essere vittime di slealtà sportiva.
Le accuse di transfobia (in casi come questo, insensate) non devono confondere le acque. Tali e tante sono le manifestazioni di vera transfobia e omofobia, che confonderle con la tutela delle atlete femmine e dello sport femminile equivale a togliere autorevolezza e forza alle battaglie per l'autodeterminazione e la dignità di tutte le persone. Difendere una identità a scapito di un'altra non sembra essere una buona causa.
Lia Thomas 4Lia Thomas 3Lia Thomas 2Lia Thomas 2Lia Thomas in garaLia Thomas prima della sua trasformazione
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