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Maurizio Stefanini per “Libero Quotidiano”
Spesso i politici falliti sono invitati a darsi all' ippica: Obama si sta invece per dare al basket. Finita un' annata Nba che gli estimatori già definiscono storica per via dell' epico duello tra Cavs e Golden State, il portavoce Josh Earnest assicura che una volta lasciata la Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti potrebbe riconvertirsi in presidente di una franchigia Nba.
«Se ci sono le giuste circostanze, è una possibilità», ha detto Earnest. Ha così confermato l' indiscrezione secondo cui che il 54enne presidente avrebbe già discusso questa opzione con alcuni proprietari.
«Da giovane più che interessarmi di politica andavo appresso alle ragazze e al basket», ha ricordato lo stesso Obama durante il suo ultimo e recente viaggio in Vietnam.
L' interesse è dunque di vecchia data, e già lo scorso novembre Obama si era detto «assolutamente interessato a entrare nella proprietà di una franchigia».
È vero che, essendo lui un noto tifoso dei Chicago Bulls, il mercato è iniziato per lui già male, dal momento che la bandiera Derrick Rose, 27enne playmaker, lascerà la città d' origine per andare ad affiancare Carmelo Anthony nella ricostruzione dei Knicks di New York. Ma, tutto sommato, questi sono problemi di secondo piano rispetto a quelli che ha dovuto affrontare alla Casa Bianca. Molti dicono che ne ha lasciati soprattutto di irrisolti, ma questo è un altro discorso.
Qualcuno insinua anche che, poiché negli Stati Uniti è d' uso dei presidenti della repubblica ricevere i presidenti delle squadre vincenti, questo potrebbe essere per Obama un modo di tornare alla Casa Bianca, anche senza dover aspettare che decolli la carriera politica di sua moglie, come è accaduto a Bill Clinton. Ma anche quello è un altro discorso.
Certo, il problema di che fare dopo essere stato per quattro o otto anni l' uomo più potente del pianeta è comune a molti inquilini della Casa Bianca. Ronald Reagan andò ad esempio in Germania Orientale a fare comizi per la lista liberale alle prime elezioni democratiche del 1990. Proprio lui che definiva «liberal» una «parolaccia»: ma si riferiva evidentemente alla variante statunitense piuttosto che europea della parola.
Bill Clinton assieme a Hillary ha dovuto invece per un po' dedicarsi a fare soldi con conferenze, perché spese legali legate e note vicende di stagiste di nome Monica li avevano lasciati quasi sul lastrico. Non solo sono rientrati, ma hanno incassato abbastanza da lanciare la carriera politica di Hillary.
Uno che si è dato da fare in tutti i modi possibili è stato Jimmy Carter: un po' perché l' avevano trombato relativamente giovane dopo un solo mandato; un po' perché per la cosa migliore che aveva fatto, gli accordi di Camp David, il Nobel per la Pace l' avevano dato ai suoi sodali Begin e Sadat, e non a lui. Tanto comunque si è dato da fare con il suo Carter Center, che a sua volta ha raggiunto il Nobel nel 2002.
Motivazione: «Si è impegnato in risoluzioni tese a prevenire conflitti in diversi continenti, inoltre ha mostrato uno straordinario impegno in favore dei diritti umani, e svolto attività di osservatore in innumerevoli elezioni in tutto il mondo».
Al Gore invece presidente non è mai diventato: vice di Clinton, quando ha provato a fare il salto è stato sconfitto da George W. Bush. Per compensare non si è accontentato del Nobel per la Pace del 2007, ma ha anche preso un Premio Principe delle Asturie e perfino due Oscar, per il suo impegno in difesa dell' ambiente.
Peccato che pochi giorni dopo l' assegnazione dell' Oscar al suo documentario ecologista "Una scomoda verità", requisitoria sui pericoli e sulle ripercussioni del riscaldamento globale della Terra, il quotidiano britannico The Guardian abbia rivelato che Gore consumerebbe ogni mese nella sua abitazione 20 volte l' energia elettrica consumata da una famiglia americana media in un anno.
Insomma, forse è davvero meglio il basket. Anche perché comunque a Obama il Nobel l' avevano già dato sulla fiducia, prima ancora di incominciare.
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