vittorio boiocchi

“ADESSO CAMBIAMO TATTICA, ADESSO LE COSE CE LE PRENDIAMO PER FORZA” – LA TELEFONATA DEL CAPO ULTRA’ VITTORIO BOIOCCHI ASSASSINATO SOTTO CASA AL DIRIGENTE DELL’INTER - LA PRETESA DI ANDARE A PRENDERE ALL’AEROPORTO I NEO-ACQUISTI NERAZZURRI, LA PISTA DEL BAGARINAGGIO E

L’INCHIESTA CHE HA VISTO ARCHIVIATI 4 DIRIGENTI DELL’INTER “VITTIME DEL COMPORTAMENTO ESTORSIVO DEI CAPI DEI TIFOSI" -LA DIGOS HA GIÀ INDIVIDUATO ALCUNI ULTRÀ RESPONSABILI DEL...

Arianna Ravelli per corriere.it

 

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«Adesso cambiamo tattica, adesso le cose ce le prendiamo per forza e poi vediamo cosa succede», gridava al telefono Vittorio Boiocchi, il capo ultrà assassinato sotto casa, a un dirigente dell’Inter «reo» di non averlo avvisato dell’arrivo nel gennaio del 2020 del neoacquisto Young in aeroporto, dove la Curva vuole dare il doveroso «benvenuto» e scattare le prime foto con le sciarpe al collo.

 

Rapporti difficili, spesso tesi tra ultrà e club. Collusioni però no. Il terreno è quello, scivoloso e in penombra, dei rapporti delle società di calcio con il tifo organizzato. Finito nel mirino della Digos e poi della procura di Milano, che seguendo gli affari dei principali esponenti della Curva (compreso Boiocchi) aveva — come si è scoperto — indagato quattro dirigenti dell’Inter ipotizzando addirittura il reato di associazione per delinquere: l’ipotesi era che ci fosse stata qualche forma di collaborazione per favorire i capi ultrà fornendo loro biglietti a prezzi agevolati o facendoli entrare gratis allo stadio o consentendo il commercio di merchandising.

 

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In realtà per i quattro dirigenti lo stesso pm di Milano Leonardo Lesti ha chiesto sin dal giugno 2021 l’archiviazione, accolta nell’ottobre dello stesso anno dal giudice per le indagini preliminari Guido Salvini, che concorda nel concludere che i quattro «erano in realtà vittime del comportamento minaccioso ed estorsivo dei capi dei tifosi e quindi semmai persone offese dei reati».

 

 

Nessuna collaborazione, dunque, ma la difficile gestione dei rapporti con il tifo organizzato. Al massimo — come scrive il pm nella richiesta di archiviazione — «una minimizzazione di un problema che da anni affligge le squadre di A pressate da soggetti che si autodefiniscono tifosi/ultras, ma che in realtà per finalità essenzialmente personali esercitano un vero e proprio potere di ricatto nei confronti dei dirigenti». I quali si vengono a trovare in una situazione scomodissima:

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«Devono riuscire a gestirle senza incorrere in violazione della normativa vigente, rispondere alla proprietà che, ovviamente, almeno a parole, non intende cedere alle suddette richieste, e alle autorità incaricate della gestione dell’ordine pubblico». Ed evitare il peggio: un dirigente, scrive sempre il pm, ha riferito di «subire la pressione psicologica derivante dalla caratura criminale di alcuni esponenti , in particolare di Boiocchi » e di temere «che la mancata soddisfazione delle loro richieste si potesse trasformare in comportamenti della Curva quali cori offensivi, lanci di monetine, accensione di fumogeni durante le partite, nocivi per la società».

 

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Un lavoro ingrato. Nella memoria difensiva scritta dal compianto avvocato Francesco Arata e dal collega Leonardo Cammarata, si legge la piena consapevolezza della difficoltà del compito. «La società ha impostato il proprio rapporto con la tifoseria al rispetto rigoroso delle norme», si difende uno dei dirigenti. Che si sfoga: «Io più che dire di no a tutti non so che fare».

 

Però le pressioni della Curva ci sono. Si concentrano soprattutto sulla vendita dei biglietti («che venivano poi parzialmente rivenduti a prezzi maggiorati con una sorta di “bagarinaggio”»), l’organizzazione delle trasferte e gli ingressi allo stadio. Com’è avvenuto quando un capo ultrà (colpito da Daspo), scontento perché non erano permessi cambi di nome sui biglietti e (cosa sorprendente) perché non c’era l’abbonamento gratis a don Mazzi, dice a un altro: «Non mi vogliono vedere perché prendo il martello e gli sfondo la testa con un martello a sto co...”; o come quando, in assenza del numero richiesto di tagliandi per una trasferta a Lecce, vengono prospettati disordini: «Allora io vado giù con 200 persone senza biglietto». Non è facile neanche riscuotere i crediti degli abbonamenti venduti(«Io gli ho detto, i tempi non li detti tu», dice un ultrà al dirigente interista).

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Ma le pretese dei tifosi sono varie: lo stesso Boiocchi, come detto, fa pressioni per essere avvisato in tempo dell’arrivo in aeroporto dei giocatori acquistati. «Ma che c... sta succedendo che noi non sappiamo come e quando arrivano i giocatori». Risposta dall’Inter: «Ma io non posso mica dirvelo...». E di fronte a ulteriori resistenze: «Adesso cambiamo tattica: adesso le cose ce le prendiamo per forza».

 

II pm Lesti conclude quindi che «anche la dirigenza interista era vittima del comportamento estorsivo dei capi tifosi, che li utilizzava esclusivamente per il raggiungimento di finalità di prestigio personale quando non di mero profitto privato». Altro che tifosi, dunque.

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