DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Andrea Pasqualetto per corriere.it - Estratti
All’inizio fu lui, Marco Paoloni, portiere della Cremonese e poi del Benevento, una discreta carriera chiusa nel peggiore dei modi: carcere. Era il primo giugno del 2011 e l’allora ventisettenne numero uno della squadra campana diventò di colpo il mostro delle scommesse.
L’accusa era pesante e tragicomica: aver messo il sonnifero nelle bottigliette d’acqua dei compagni della Cremonese durante l’intervallo di una partita per condizionarne il risultato. Paoloni fu radiato della Federazione per poi essere assolto dalla giustizia penale nel 2019. Al di là del sonnifero (Minias), il giocatore confessò di essere stato uno scommettitore accanito: «Ero compulsivo, giocavo su tutto: poker online, tennis, basket, anche serie A e Coppe europee. Ma non mi sono mai venduto una partita, mai!».
Come mai questo vizio? O malattia?
«Malattia malattia. Era diventata una dipendenza. Per me dietro c’era un discorso di adrenalina e di libertà, ma questo l’ho capito dopo esserne uscito. Ero giovanissimo, non mi mancava nulla e mi sentivo onnipotente. In campo avevo quell’ansia da prestazione che era pura adrenalina. Fuori cercavo la stessa scossa, ma ero limitato dalla mia ex moglie che mi controllava dappertutto, anche in bagno. Nelle scommesse ritrovavo quella sensazione ed era un mondo tutto mio, bastava un clic, nessuno mi vedeva... Non era dunque tanto una questione di denaro. Solo chi si vende le partite lo fa per questo. Il fatto è che non mi sono reso conto di aver superato il limite. Ero arrivato a stare sveglio di notte e il divertimento si è così trasformato in malattia. Ero diventato ludopatico».
Quanti eravate a scommettere?
«Il fenomeno era molto diffuso. Soprattutto fra i giocatori ma talvolta lo facevano anche i vertici delle società. Per loro era però diverso».
(...)
Quanto ha perso scommettendo?
«In tre anni circa 600 mila euro e ne prendevo 200 mila all’anno di stipendio. Ho iniziato ad Ascoli con un compagno di squadra che mi fece vedere un sito, un po’ come Fagioli con Tonali. Io non lo sapevo ma dietro c’era la malavita, tutto partiva da Singapore».
Lei è stato assolto dall’accusa del Minias, e la frode sportiva?
«Prescritta. Risultato: radiato senza aver subito condanne. Ho smesso di giocare a 27 anni, quando è arrivata l’assoluzione ne avevo 39 ed ero troppo vecchio per rientrare. Il mio caso dovrebbe insegnare prudenza perché si rischia di rovinare carriere e famiglie per poi magari scoprire che c’è poco o nulla. Mi sento vicino a questi ragazzi, dico una sola cosa: fatevi subito aiutare».
Lei l’ha fatto?
«Sì, mi hanno curato gli specialisti. La psicologa mi disse: “Non so come tu non ti sia suicidato”. Avevo perso lavoro e famiglia, è stata dura».
Non ha più scommesso?
«Ho fatto un lungo percorso. Sono passato dallo stato di compulsione al divertimento, giocando una volta ogni tanto. Ma ci sono voluti anni».
Ora cosa fa?
«Alleno i ragazzi che vogliono fare i portieri, privatamente. In giugno sono stato però squalificato dalla Federazione per cinque mesi per una sciocchezza».
Cioè?
«Portavo i ragazzi ai provini senza essere iscritto al registro degli agenti. Dopo otto anni d’inferno ho subito anche questa».
Però lei se le va un po’ a cercare. Si è pentito di aver scommesso?
«Sì, ho buttato all’aria tutto».
Chi ha messo il sonnifero?
«Io dico nessuno».
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