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Tutti sanno che la scultura classica è bianca. Il bianco dà un senso di purezza, rappresenta il “ground zero” della cultura occidentale, l’origine da cui è scaturito il canone di un’intera civiltà.
La mostra al “Ny Carlsberg Glyptotek” di Copenhagen fino al 7 dicembre, intitolata “Transformations: Classical Sculpure in Colour”, mette 120 sculture classiche in policromia, ritenendo che il mito monocromatico sia nato nel Rinascimento, quando furono scoperte il Torso del Belvedere e il Laocoonte. Appartenevano all’antichità classica e quindi furono considerati modelli esemplari, bianchi, semplicemente perché il colore era scomparso nel tempo. Fu l’incomprensione di una colta minoranza, codificata nelle accademie d’arte e trasmessa ai posteri.
Spiega il curatore Jan Stubbe Østergaard: «Il ruolo del colore nell’antica scultura è decisivo per l’aspetto estetico e aiuta a leggere meglio la storia del soggetto. Ad esempio la cariatide con il peplo non indossava il peplo e non era una giovane comune ma una divinità. Con la tecnica del MSI (Multi spectral imaging) si riescono a identificare i pigmenti, le analisi di spettroscopia forniscono ulteriori informazioni e ci aiutano a far riemergere elementi originali. I soggetti sono riportati in vita dal colore, e questo li rende più vicini a noi».
la cariatide col peplo era una dea
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