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FONTANA, OLTRE AI TAGLI C’È DI PIÙ – LA PEGGY GUGGENHEIM COLLECTION DI VENEZIA DEDICA UNA MOSTRA ALLE CERAMICHE DI LUCIO FONTANA, L'INVENTORE DEL TAGLIO SULLA TELA – RIELLO: “È UNA MOSTRA CHE MATERIALIZZA IL MITO: C'È PIÙ SUDORE CHE GLAMOUR. GLI ALLESTIMENTI FOTOGRAFICI CI SVELANO L'ARTISTA CON LE MANI SPORCHE DI CRETA. UNA PERCEZIONE LONTANA DALLA CLASSICA ICONOGRAFIA DOVE SI VEDE UN ELEGANTE GENTILUOMO IN GIACCA E CRAVATTA CHE, CON UN COLTELLINO E MOLTA NONCHALANCE, INCIDE SENZA ESITAZIONE LA TELA IMMACOLATA, COME UN ABILE CHIRURGO…” – VIDEO

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Antonio Riello per Dagospia

 

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Lucio Fontana (1899 Rosario d'Argentina -1968 Comabbio) è uno dei semi-dei dell'Arte Contemporanea italiana. L'inventore certificato del taglio sulla tela: concettuale, geniale, universale e definitivo. E' come una Ferrari Testarossa o una Miura Lamborghini. Non si può veramente spiegare, si può solo ammirare la sua perfezione. Fontana è anche un riconosciutissimo "valore sicuro", il blue-chip per eccellenza del mercato internazionale.

 

La Peggy Guggenheim Collection di Venezia dedica un tributo ad un aspetto importante (e meno noto) della sua attività: la vasta produzione ceramica. La mostra è curata da Sharon Hecker.

L'argomento è introdotto da un cortometraggio inedito di Felipe Sanguinetti.

 

Il film illustra alcuni interventi ceramici di Fontana in dialogo con la progettazione architettonica italiana del secondo dopoguerra. Riguardano Milano e dintorni (il Cimitero Monumentale, l'Istituto Gonzaga, Villa Borsani, la Chiesa di San Fedele ed altre realizzazioni minori). Viene sul serio voglia di organizzare una gita per andarli a vedere.

 

Fontana produceva le sue terrecotte solitamente ad Albisola, dove si appoggiava agli artigiani della Ceramica Mazzotti. Ha soggiornato in vari periodi della sua vita nella cittadina ligure. Una prima fase (quella tra le due guerre) ci consegna un artista alla ricerca della sua strada. Con degli esiti certamente interessanti ma incerti. Sì, anche il sommo Fontana imparava attraverso tentativi non sempre riuscitissimi.

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Diverse opere comunque sembrano seguire da vicino le orme di Arturo Martini. La "Ballerina di Charleston" (1926) è curiosa ma difficile associarla all'artista che tutti conosciamo. Il "Torso Italico" (1938) che ripropone l'imperatore Augusto è un esperimento di scultura retorica, solo mitigato dal gusto dell'artista.

 

Più felice è senz'altro la temperie degli animali, in particolare quella del grande coccodrillo del 1936/37. Il clima culturale del Fascismo sembra comprimere, in qualche modo, le potenzialità dello scultore.

 

Le cose vanno decisamente meglio dopo il 1947, quando ritorna in Italia (dopo una parentesi in Argentina, sua terra natale) e fonda lo Spazialismo con Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Milena Milani. Sono anni fantastici per l'Arte a Milano: creatività e libertà al massimo. Il caffè Giamaica, in Brera, è uno dei luoghi di incontro fondamentali. Oltre a Fontana lo frequentano Piero Manzoni, Gianni Dova, Anna Piaggi, Nanni Balestrini, Valerio Adami, Ugo Mulas, Emilio Tadini, Nanda Vigo.

 

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Le ceramiche che Fontana sforna a questo punto sono più libere e sofisticate. Il "Ritratto di Teresita" (1949) ha una marcia in più rispetto al decennio precedente (Teresita Rasini era la moglie). La serie dei "Crocefissi" (dal 1951 al 1956) raggiunge una intensità davvero ragguardevole. Il tradizionale simbolo cristiano sublima in qualcosa di essenziale: morte e sofferenza possono essere raccontate con forza anche senza ricorrere ad un linguaggio figurativo.

 

Iniziano esplorazioni ancora più sintetiche e minimali. L'argilla viene violata  nei "Concetti Spaziali" del 1961/62. La solcano tagli e fori. Tagli e fori? eccoci dunque al Fontana che tutti ben conosciamo. Quello dei "Teatrini" e dei tagli che squarciano i quadri. Il cerchio si è chiuso.

 

Gli apparati fotografici e gli allestimenti veneziani sono impeccabili: ci svelano l'artista con i suoi dubbi e con le mani sporche di creta. Fontana, in alcune foto, ha l'aspetto di un laborioso artigiano. Emerge anche tutto lo sforzo fisico a cui è sottoposto. Una percezione comunque lontana dalla classica iconografia fontaniana dove si vede (e soprattutto si immagina) un elegante gentiluomo in giacca e cravatta che, con un coltellino e molta nonchalance,  incide senza esitazione la tela immacolata (con la gestualità un abile chirurgo).

 

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Le magnifiche foto fatte da Ugo Mulas nel 1964 hanno contribuito non poco a creare una certa immagine, potente e ineffabile, del lavoro di Fontana.

 

Questa è una mostra che rende umano l'eroe culturale ed erode parzialmente la sua aura leggendaria. Materializza il mito: c'è più sudore che glamour. La conoscenza dei fatti primeggia talvolta sull'emozione estetica.

Va notato inoltre che, in genere, le sculture in terracotta non sono (per forma, materiale e colore) particolarmente fotogeniche. Manufatti in fondo poco instagrammabili che spesso non fanno scattare la voglia di selfie. E' una questione che affligge non solo le opere qui esposte: in effetti si allarga a una buona parte della produzione ceramica di molti artisti contemporanei (noti e meno noti).

L'effetto collaterale di tutto questo potrebbe essere che qualche visitatore che va di fretta si possa sentire - magari quasi senza accorgersene - un po' deluso. E' un rischio che vale assolutamente la pena di correre se si vuole conoscere davvero un po' meglio il mondo di Lucio Fontana.

 

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MANI-FATTURA: le ceramiche di Lucio Fontana

Peggy Guggenheim Collection

Dorsoduro 701, 30123 Venezia

fino al 2 Marzo 2026

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