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Francesco Specchia per “Libero Quotidiano”
Un morbido sudario di lana caprina e di ricorsi amministrativi sta per avvolgere i Beni Culturali del ministro Dario Franceschini e suoi scintillanti neo 20 superdirettori, quelli esaltati da Renzi, quelli che dovrebbero «portare i musei italiani nel futuro». Intanto c’è qualche problemino col presente. Mentre si attende con ansia la registrazione dei contratti dei dirigenti franceschiniani da parte della Corte dei Conti (ma davvero ci sarà?) stanno, infatti, per partire una serie di ricorsi contro le suddette nomine.
paolo baratta dario franceschini
Alla base dei ricorsi vi sarebbero: sia la non considerazione delle domande di dirigenti tecnici già vincitori di concorso «parcheggiati» nelle sacche del Mibact a fronte dell’arruolamento di esperti, specie stranieri (7. Di cui 3 tedeschi, 2 austriaci, 1 britannico e1 francese); sia i dubbi sul requisito della «specifica esperienza professionale documentata nell’ambito della tutela, della gestione e della valorizzazione del patrimonio culturale» di alcuni degli stessi nominati (Carmelo Malacrino o Gabrile Zuchtriegel, o l’etruscologo Giulierini al Museo Archologico di Napoli, per dire...);
sia la mancata trasparenza sui criteri meritocratici adottati dalla commissione giudicante; sia, soprattutto, il grosso scoglio della cittadinanza. Ecco, la cittadinanza è il nodo gordiano. Tecnicamente, secondo il Decreto della Presidenza del Consiglio n.174 del 7/2/’94, l’art. 38 del decreto legislativo 165/2001 e pareri del dipartimento della funzione pubblica, i dirigenti della PA italiana devono essere italiani. Requisto essenziale. Punto.
E, nonostante il ministro s’appigli al libero spirito della Comunità Europea, i cittadini europei possono accedere sì ai posti di lavoro presso le nostre amministrazioni pubbliche ma solo se gli incarichi «non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale». Tradotto: gli è vietato l’accesso alle sfere dirigenziali.
E se si tiene conto, ad esempio, che l’austriaco Peter Aufreiter oltre a dirigere la Galleria Nazionale delle Marche, per poteri attribuiti da cavilli della riforma, sarà a capo dell’intero polo museale di una Regione che difficilmente conosce a menadito; bé la cosa fa lievemente innervosire i suoi colleghi italiani e i sindacati (primi fra tutti Confsal-Unsa e Uil-Bact).
Poi, certo,sul fatto di non volere dei capi stranieri -seppur preparatissimi- si può aprire un dibattito, nel nome della globalizzazione della cultura. Ma, insomma, la legge è questa. E tocca rispettarla, salvo curiose interpretazioni estensive. Soprattutto perché non è stata prevista alcuna deroga alle suddette norme, almeno all’atto del concorso; e nel bando per i superdirettori non v’era traccia alcuna della sua estensione a candidati stranieri. Al punto che -sussurrano le malelingue- essendo trapelata la notizia dei possibili ricorsi prima ancora del concorso, pare siano stati eliminati a prescindere i candidati americani (extracomunitari).
Ma queste, sono, appunto, malelingue. Dal Ministero dei Beni Culturali, dalle parti di Franceschini, si ostenta sicurezza: «Ma di che cosa stiamo parlando? Noi abbiamo agito nel pieno rispetto delle norme nazionali e comunitarie», pur riservandosi di analizzare meglio le carte. E sta bene. Dopodichè, se sarà tempesta, le ipotesi per uscire dal cul de sac museale sono essenzialmente tre: ammettere di aver fatto una cappella grossa come la Sistina (improbabile); o contattare uno ad uno i funzionari illivoriti del Ministero, italiani, che si sono visti stroncare la carriera dopo anni di lavoro oscuro, pregandoli di ritirare il ricorso (molto improbabile) ; o tentare di dare la cittadinanza italiana ai direttori «europei» in odore d’illegittimità.
«E questo è impossibile», dicono sempre dal Ministero, «vuoi perchè non si può costringere dei cittadini stranieri a cambiare cittadinanza, vuoi perché non prendiamo nemmeno in considerazione che le cose vadano male» (e vuoi, forse, anche perché la cittadinanza non avrebbe valore retroattivo...).
Tra l’altro, alcuni ricorsi riguarderebbero anche i direttori italiani, Per esempio, la brava Anna Coliva è passata dal grado di funzionario direttamente a quello di direttore generale della Galleria Borghese, saltando a piè pari la lenta liturgia dei passaggi dirigenziali. La palla, ora, è alla Corte dei Conti...
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