BUIO A SAN SIRO: ALLEGRI E STRAMACCIONI RISCHIANO LA PANCA

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1. MILAN, LA FIGURACCIA AL CAMP NOU PUÃ’ COSTARE CARA AD ALLEGRI - BERLUSCONI INFURIATO: FUTURO IN BILICO ANCHE SE ENTRA IN CHAMPIONS
Marco Ansaldo per "La Stampa"

Sta a vedere che la colpa dell'eliminazione del Milan dalla Champions League è di Portanova. Fu il difensore del Genoa ad azzoppare Pazzini e a togliere dal Camp Nou l'unica punta pura del parco rossonero, con Balotelli indisponibile. «Se ci fosse stato un centravanti vero avremmo segnato un gol», ha detto Galliani di ritorno da Barcellona. La recriminazione del vicepresidente rossonero cadeva sull'occasione sfuggita a Robinho, anticipato sul cross di Bojan sul 3-0, e al palo di Niang nel primo tempo.

«Era quasi più facile segnare che sbagliare - ha commentato -. L'ho subito detto a Barbara Berlusconi, non abbiamo fatto l'1-1 e adesso prendiamo il secondo gol. È una regola del calcio». Galliani è un buon profeta cui sfugge tuttavia un aspetto della realtà, ad esempio che se ci fosse stato Pazzini al posto di Niang, cui si può rimproverare tutto tranne che non sia veloce, i difensori del Barcellona l'avrebbero ripreso prima che arrivasse al tiro.

Con i se e i ma non si costruisce la verità di un ribaltone che misura la differenza tra l'eccellenza del calcio e il Milan. Si sperava che il Barcellona si mantenesse opaco come nelle ultime settimane, altrimenti si sarebbe tornati alle previsioni dopo il sorteggio: porte chiuse ai rossoneri. Quando i catalani hanno fatto lo stesso gioco che a Milano ma a velocità tre volte superiore senza che il Milan uscisse dalla propria metà campo, la differenza di qualità è stata insultante.

Se all'andata i rossoneri erano stati perfetti quanto a compattezza, aiutati dal ritmo bassissimo dei blaugrana che permettevano di riprendere sempre posizione, al Camp Nou si sono sfrangiati lasciando agli spagnoli gli spazi in cui entrare. «Abbiamo sbagliato anche nella fase offensiva - ha aggiunto Montolivo -. Proprio perché capivamo che loro in difesa non sono dei mostri dovevamo dare di più».

Nell'atteggiamento, nella precisione dei passaggi, nel coraggio di attaccare prima di esservi costretti dal 3-0. «Alla lettura delle formazioni si poteva capire tutto - è l'analisi del quotidiano "Marca" -. Un gruppo di fenomeni contro Abbiati, Abate, Constant, Zapata, Flamini, Mexes, Niang. Giocatori di qualità così diseguale non possono affrontarsi né paragonarsi: Sacchi, Capello e i campioni del Milan che vinceva si vergogneranno a vedere in cosa si è trasformata la loro squadra». Severo ma realista.

Il Milan è cresciuto molto dall'inizio della stagione e ha margini di miglioramento però non può illudersi di tornare grandissimo quando ha 4 o 5 uomini di talento e il resto è banalmente mediocre: può bastare al piazzamento in serie A per la pochezza delle alternative alla Juventus, invece nell'Europa delle migliori serve altro. La rimonta in campionato ha sfalsato le prospettive del rinnovamento, ci ha fatto dimenticare cosa il Milan aveva perso in estate e chi sono i rimpiazzi.

I processi ad Allegri sono inutili: ha sbagliato anche lui, non abbiamo capito ad esempio l'esclusione di De Sciglio e il ritardo nei cambi. Ma sarebbe davvero cambiato qualcosa? Il Milan è andato a Barcellona a difendere il 2-0 con troppi fucili di plastica contro i missili intercontinentali. Questo, e non l'assenza di Pazzini, ha segnato la differenza.

«Anche se per una coincidenza fossimo passati noi, il Barcellona rimane molto più forte», ha ammesso Allegri con una sincerità che non rispecchia le ambizioni di Berlusconi, tanto per cambiare. Galliani e il Cavaliere si sono sentiti al telefono nell'intervallo. «Non posso dirvi cosa ci siamo detti», ha confermato il vicepresidente.

Probabilmente commenti irripetibili. Di sicuro Berlusconi ha messo un altro carico da undici sull'inadeguatezza di Allegri a certi livelli, magari gli rimprovera la marcatura di Messi, una sua fissazione anche con l'occhio malato. La vittima del 4-0 può essere proprio il tecnico. Salvare con il campionato il posto nella prossima Champions potrebbe non bastare a garantirgli un altro posto. Il suo.

2. STRAMACCIONI SA GIÀ IL SUO FUTURO HA 72 ORE PER SALVARE LA PANCHINA
Fabio Monti per il "Corriere della Sera"

Ci vuole molto più di uno sforzo di fantasia per immaginare che l'Inter possa ribaltare lo 0-3 di White Hart Lane e guadagnarsi la qualificazione ai quarti di Europa League. La squalifica di Gareth Bale (primo gol) non basta a giustificare progetti di rimonta che non si addicono al momento e non soltanto perché André Villas Boas, tornato a San Siro dopo tre anni e mezzo, ha spiegato: «Il 3-0 è un buon risultato, ma non è definitivo. Per questo non vedo la necessità di procedere al turnover. Gioca la squadra migliore», anche se resta in dubbio Lennon, che non sta bene.

Nella storia delle coppe europee, le squadre italiane si sono trovate nove volte nella condizione di partire da 0-3 e soltanto in due occasioni hanno centrato l'obiettivo: il Bologna nel 1990-91 (6-5 ai rigori) e il Parma nel 1995-96 (4-0). Nella presente congiuntura, è già molto pensare che l'Inter possa evitare una nuova sconfitta.

E questo nonostante i buoni propositi di Stramaccioni, che ha detto le cose che si dicono quando tutto sta andando male e la panchina è più che traballante: «Abbiamo tanta voglia di onorare l'Europa League; il numero di giocatori è limitato, ma vogliamo provarci e giocheremo per vincere.

Ci servirà un pizzico di fortuna, sapendo quanto sia difficile ribaltare il risultato; proveremo a limitare i nostri avversari, poi vedremo come andrà a finire. Conosciamo l'importanza delle 10 partite di campionato che restano, ma la testa è al Tottenham. Abbiamo cominciato a giocare prima di tutti, abbiamo avuto tanti problemi, l'Europa League è una competizione che toglie tante energie, forse faremmo scelte diverse se dovessimo rifare questa coppa. Ma speriamo di fare la Champions».

Stramaccioni ha riconosciuto che «stiamo giocando male, non ha senso negarlo, ma sta a me che sono l'allenatore trovare il modo di ridare ai miei calciatori le sicurezze che hanno già avuto e che adesso sembrano smarrite. È il mio compito per consentire alla squadra di esprimersi, facendo tesoro di questa situazione negativa per rimettersi in carreggiata. Comunque noi siamo lo stesso allenatore e gli stessi giocatori arrivati a un punto dal primo posto il 3 novembre. Mancano 10 partite, un mini-campionato; dobbiamo e possiamo ritrovare i valori che ci avevano portato là davanti e lottiamo per il terzo posto; il tempo per processarci non mancherà».

E di se stesso: «Sarò giudicato per quello che faremo; il mio futuro è legato ai risultati di una stagione. Il presidente è arrabbiato, ed è naturale che lo sia, ma da parte sua percepisco un sostegno e una fiducia maggiori dopo una brutta sconfitta piuttosto che in buon momento. Comunque vada a finire non potrò mai dire che non ci ha sostenuto al 101%. Poi siccome lui è il presidente, lui deciderà». E le indicazioni sono chiare: o c'è un segnale di svolta fra stasera e domenica a Genova con la Samp, oppure la corsa finisce un anno dopo l'investitura e prima della Juve.

 

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