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Antonio Riello per Dagospia
Damien Hirst, in una recente intervista a Waldemar Januszczak per il Sunday Times, ha dichiarato di essere stato fortemente influenzato nella seconda metà degli anni ottanta, al tempo dei suoi esordi professionali, dalle opere di Jeff Koons un artista che, a suo dire, gli ha cambiato il modo di vedere e fare arte.
Una dichiarazione sicuramente in qualche modo vera dato che il multimiliardario Mr Hirst possiede oggi la più significativa collezione dell'artista americano e che la nuova mostra alla Newport Street Gallery, il suo spazio espositivo di Londra (considerato ormai semi-istituzionale) le è infatti interamente dedicata.
L'ultima importante mostra dell'artista newyorkese a Londra è stata quella alla Serpentine Gallery del 2009 con le "Popeye Series". Questa attuale è la più grande ed esaustiva esposizione "Koonsiana" che sia mai stata realizzata nel Regno Unito.
Organizzata in sei grandi sale raccoglie ben trentasei lavori (trentaquattro sono appunto proprietà di Hirst, una è gentilmente prestata da Koons stesso e una altra invece dalla famiglia Getty). Un notevole concentrato di valore anche nel senso più venale del termine, quello che in certa letteratura di un tempo si sarebbe chiamato un "favoloso tesoro"....
Si parte da opere che ormai sono quasi Storia: "Inflatable Flowers" del 1979 e una delle prime opere della serie "The New" (le sue celebri aspirapolveri sotto perspex) del 1980. Le aspirapolveri sono state realizzate in moltissime versioni che si differenziano quasi solo per leggere variazioni di colore e hanno rappresentato davvero una controversa novità nel panorama artistico. In prospettiva una specie di "PopArt 2.0".
Ovvero una versione più sofisticata, cinica, ambigua (ambigua forse addirittura fino alla complicità) e aggiornata della feroce critica che l'arte contemporanea fa alla società americana e al suo consumismo estremo. Sì, in questo senso, Jeff Koons è in fondo l'erede di Andy Warhol (in versione riveduta, corretta e mescolata naturalmente con un pizzico di Wall Street).
Negli anni ottanta le sue "Baroque Sculptures": meravigliosi trenini ("Jim Beam - J.B. Turner Engine" del 1986 è nell'esposizione) busti ed altro ancora, tutto fatto in acciaio fuso e lucidato. L'ossessione "siderurgica" dell'artista sembra avere una storia lunga. E anche la sua raffinata visione celebrativa della "banalità" è evidentemente ben radicata già dall'inizio.
La serie "Total Equilibrium" (ancora la mia preferita) è qui ben esemplificata dall' l'opera "Three Ball Total Equilibrium Tank (Two Dr J Silver Series, Spalding NBA Tip-Off)" del 1985. Vasche - quasi degli acquari - dove immerse in un liquido stanno sospese in improbabili equilibri una o più palle da basket (rigorosamente marca Spalding).
Koons per queste realizzazioni apparentemente semplici, ma in pratica difficilissime da produrre, si è avvalso dell'aiuto del fisico (e premio Nobel) Richard Feynman. Qualcuno l'ha letta come la metafora visiva delle aspirazioni sociali della società statunitense: sempre in un perfido (e perfetto) disequilibrio.
Comunque sia, sono di certo icone straordinarie di quegli anni. Misteriose nella loro immobilità e inquietanti per la loro apparente ovvietà. Anche se sappiamo che non è così, verrebbe naturale pensare che abbiano suggerito proprio loro a Germano Celant la famosa espressione "inespressionismo americano".
E' il turno della lussureggiante e ricca stagione delle voluminose sculture in porcellana e in legno, talvolta accompagnate da grandi fotografie. Come era accaduto per la sua presenza alla 44° Biennale di Venezia, Aperto con l'installazione "Made in Heaven".
Siamo all'inizio degli anni novanta, è l'epoca del suo sodalizio artistico e amoroso con Cicciolina, che poi sfocerà rapidamente in matrimonio, progenie e successiva drammatica separazione. Jeff Koons sembra diventare il simbolo stesso del kitsch postmoderno, sfiorando i limiti del comune senso del "buon gusto" (artistico). Il suo stile è decisamente meno ineffabile e metafisico, gioca esplicitamente con i clichè della cultura popolare.
La critica si divide, anche animosamente, sulla qualità e sulla consistenza del suo lavoro. Il mercato dell'arte però sembra ignorare le polemiche e lo premia costantemente con valutazioni da capogiro. Vale la pena di notare, a titolo di curiosità, che la realizzazione materiale di questo tipo di lavori, soprattutto la serie "Banality" è stata fatta quasi interamente da artigiani italiani: le opere in ceramica a Bassano del Grappa, quelle in legno intagliato in Val Badia ad Ortisei.
Come non ricordare le sculture giganti fatte solo di fiori ? Basta pensare a "Puppy 2" del 1992 realizzata per l'esterno il Guggheneim di Bilbao. La triviale aiuola fiorita che assurge a icastica installazione d'arte. Geniale magia dell'arte di Jeff Koons.
La parte del leone la fanno naturalmente le sue opere più note al grande pubblico. Le serie "Popeye"," Hulk Elvis", "Antiquity", "Gazing Ball", "Celebration". Cioè le sculture che sembrano dei gonfiabili leggeri come palloni, ma che in realtà sono di solido e luccicante acciaio.
Anche la recente mostra fiorentina ce ne ha fatte vederha d"Titi" (2009), "Bowl with Eggs (Pink)" (2009) e "Balloon Monkey (Blue)" (2013) rappresentano qui dei brillanti esempi di questo genere.
Si dice che lo studio nel New Jersey dove Koons fabbrica queste opere sia una gigantesca fonderia/officina con molti dipendenti ed una organizzazione da vera e propria fabbrica. In queste sculture la contraddizione tra oggetto e materiale (apparentemente incongruo e perfettamente risolto) genera spaesamento e meraviglia.
Ancora una volta il fantastico talento di questo artista trasmuta la semplice quotidianità (magari talvolta addirittura becera) in immacolata creazione che raggiunge le vette più alte del sistema Arte Contemporanea e strabilia allo stesso momento il mercato. Fa miracoli. Lui, oltre che intelligentissimo, è sempre molto sincero e cristallino nella sua ricerca artistica, la sua esperta abilità artistica ci fa semplicemente vedere quello che vogliamo vedere.
Sono le nostre aspettative che sono a volte ingenue e i nostri pregiudizi magari un po' perversi. Ci si ricorda di certi conduttori televisivi che parlano abitualmente di banalità insignificanti (e loro lo sanno benissimo) ma lo fanno creando un meccanismo mediatico magistrale, dove alla fine l'emozione comunque corre tra il pubblico e a tutti sembra di essere stati gli spettatori privilegiati dell'evento del secolo.
"Play-Doh", una scultura magnifica del 2014 in metallo lucido, chiude la mostra. Pare che siano serviti alcuni anni per realizzarla perfetta come è. Sembra una gigantesca montagna plastilina colorata lasciata da qualche parte da un ragazzino (anche lui gigante).
In effetti c'è qualcosa di personale in questo lavoro: idealmente il ragazzino che ha ispirato il lavoro è il figlio dello scultore e di Ilona Staller, Ludwig Koons. L'ineffabile artista della sublime e algida banalità, finalmente ci racconta un frammento di vita famigliare (che non è mai banale).
JEFF KOONS: NOW
Newport Street Gallery
London SE11 6AJ
18 Maggio - 16 Ottobre 2016
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