DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Alessandro Fiesoli, ex inviato ''QN - La Nazione'' su Facebook
CIAO DIEGO. In pochissimi avrete la pazienza e la voglia di arrivare in fondo, con tutta la mia comprensione, questo comunque e’ un ricordo di Maradona, un “coccodrillo” mai pubblicato che mi era stato ordinato dal mio ex giornale più o meno una decina di anni fa, in occasione di una delle precedenti crisi gravissime di Diego. L’ho incrociato tante volte, a Firenze per la prima volta per l’amichevole fra l’Argentina e la prima Fiorentina dei Pontello, lo marcava Casagrande e fece un gran gol, a seguire a Barcellona, quando rientro ‘ dopo il tentato omicidio di Goicoechea, a Napoli soprattutto per la domenica del primo scudetto contro la Fiorentina, quel pareggio amichevole con il primo gol di Baggio in A, a Buenos Aires per il suo matrimonio, e poi mondiali vari, da Italia ‘90 a Sudafrica 2010, quando da ct dell’Argentina andava in panchina con l’abito da sposo, ma non gli porto’ fortuna neanche in campo.. ecc..ecc.
IL MARADONA DI SORRENTINO IN YOUTH
A Marsiglia, per il quarto di finale Argentina-Olanda mondiali ‘98 (0-1, gran gol di Bergkamp) arrivo ‘ all’improvviso all’hotel delle palme, sul mare, per commentare la partita per la Tvl argentina. Era un periodo difficile, confuso per lui, andai ad intercettarlo insieme a un collega napoletano, si presentò’ molto grasso con un micro slip bianco e nero e zoccoli. Si diresse verso la piscina, vide una bella signora molto elegante a bordo vasca e per cercare di far colpo comincio ‘ a palleggiare, mentre non restava che guardare incantati quel piede sinistro, come fa in “Youth” una sua controfigura, Sorrentino senza volerlo ha rappresentato una scena vera.
La signora se ne andò’ via annoiata e indispettita, senza neanche averlo riconosciuto. In quell’occasione racconto ‘ a me e al mio collega, fra le altre cose, una storia a suo modo strepitosa. Questa: “In Argentina sono stato anche ricoverato in un ospedale psichiatrico, nei corridoi incontravo chi pensava di essere Giulio Cesare, Napoleone, e quando rispondevo ‘piacere, Maradona’ quei picchiatelli mi ridevano dietro, ‘’ma guarda questo chi pensa di essere”, commentavano”. Anche questo era Maradona. E questo è quel mio vecchio “coccodrillo”, ringraziando chi ha avuto l’attenzione e la grande cortesia di recuperarlo, mi tolgo lo sfizio di pubblicarlo qui, solo per amici di buona volonta’’.........
di Alessandro Fiesoli
Non ce l’ha fatta a sopravvivere a se stesso. Dopo essere stato Maradona, tutto il resto, semplicemente la vita, era diventato intollerabile. «Senza calcio non sapevo piu che cosa fare, non saro mai un uomo comune», aveva detto[als1] . Nessuna «mano de Dios» poteva salvarlo. Il suo lungo addio si e concluso. Niente lieto fine. Adios, Maradona. [als2] Eccessivo in tutto, anche nel vuoto che lascia.
IL MARADONA DI SORRENTINO IN YOUTH SI METTE A PALLEGGIARE
Come Evita Peron e Carlos Gardel, il re del tango, in quella che gli argentini considerano la loro Trinita. Lo immortaleranno nel bronzo, come fecero per Gardel: «Grazie Dio, per il calcio. Grazie Dio, per Maradona». Era nato in una baracca senza pavimento, quinto di sette figli, e una volta in cima al mondo ha goduto senza misura della sua vita, ha consumato tutto senza ritegno, fino a distruggersi. Ci vuole talento, anche per sprecare tanta fortuna.
Non e riuscito a fermare il suo lento suicidio, fatto di vent’anni di tossicodipendenza senza scampo, di inaccessibili luoghi oscuri, di una tomba anticipata. Ha scelto di che cosa vivere, di calcio, e come morire, di cocaina . Non ha mai voluto diventare una figura rispettabile, come Pele, per non sentirsi una figurina . Nella sua ultima partita di saluto al calcio, il 10 novembre del 2001, alla «Bomboniera», lo stadio del Boca, gia sfatto e stanco, quel cuore scassato e dilatato, da bufalo, funzionante solo a meta, prese il microfono e urlo, in lacrime: «Il calcio e la cosa piu bella del mondo, ma io sono sbagliato, e ho pagato». Il prezzo lo ha fissato da solo. Il piu alto. Il massimo, come al solito.
IL MARADONA DI SORRENTINO IN YOUTH SI METTE A PALLEGGIARE
«Gracias de todo, Diego», migliaia di striscioni come questo che ora valgono come estremo saluto per chi e stato il mago del calcio, il giocatore premiato a Oxford come «maestro ispiratore di sogni». Di tutti i possibili o impossibili modi di definirlo, forse e il piu bello. I sogni suoi, degli argentini, di Napoli. A modo suo, molto suo, simbolo del Sud del mondo, come gli piaceva pensarsi, quando si scagliava contro i potenti del calcio e della terra, senza fare distinzioni fra la Fifa e l’Onu, Havelange e Bush, in un misto di populismo e contraddizione , sentendosi figlio del popolo nonostante i miliardi e le Ferrari in garage, ribelle con tutti a cominciare da se stesso.
Mancino assoluto, l’imperfezione impareggiabile. In campo, il numero uno. Imprese e crolli. Trionfi e scandali. Il doping e gli arresti. Amori e odi, in quantita industriale
i primi come i secondi. Il figlio non riconosciuto, Diego junior. Vent’anni da campione. Re del mondo nell’86 in Messico, tre scudetti, e due di questi a Napoli, una coppa Uefa. Giocatore del secolo secondo la Fifa.
Suo il gol riconosciuto come il piu bello della storia del calcio, il secondo all’Inghilterra in quei mondiali vinti, dopo il primo, la famosa «mano de Dios». Un solo piede, il sinistro: 353 gol, appena sei di destro. Il tatuaggio del Che e i capelli arancioni. L’amicizia con Fidel e le ultime comparsate per tirar su qualche soldo, come quando ha inaugurato in bermuda una funivia. Le apparizioni in tv, il suo fantasma grasso e sudato, la voce poco piu di un rantolo, lo sguardo stanco ma testimone di una storia unica, di un romanzo dal finale disperato ma dai capitoli straordinari. Il fisico devastato, e lui che continuava a infierire, senza pieta per se stesso.
IL MARADONA DI SORRENTINO IN YOUTH
Maradona ha continuato a morire quando e diventato un ex calciatore, nel ’97. Aveva cominciato nell’82, con la sua prima striscia di coca. La rinuncia al pallone come una piccola morte, una delle tante, fra droga e crisi cardiache, che lo hanno stroncato . Alla base, l’incapacita di accettarsi solo come Diego, non piu il venerato Maradona. «E’ stato circondato da ipocrisia e cinismo», l’accusa di Menotti, il ct dell’Argentina campione del mondo nel ’78. «L’errore e stato quello di farlo parlare di tutto, come se a rispondere fosse il suo piede sinistro», disse una volta Valdano, suo ex compagno di squadra e amico leale, fino a quando ha potuto. Ma ora e tardi. Qualunque sia stata la ragione della sua vita troppo presto perduta, e morta con lui.
Quello che restera, per sempre, e la leggenda di Maradona, genio del pallone. Non solo talento, anche un grande cuore. Sempre amato e rispettato dai colleghi, compagni e avversari, che forse lo hanno conosciuto meglio di tutti. «Se il calcio e una religione, lui ne e stato il primo dio globale», ha scritto Montalban. Veniva dagli sterrati della «Buenos Aires amata» cantata dal tango, Maradona. Lanus, il barrio di Villa Fiorito. «Questo e maschio, pure muscolo», disse suo padre, Diego senior, appena lo vide. Un «cebollitas», un ragazzino tarchiato, forte.
Un «tappo eccezionale», come lo avrebbe definito Zagallo, ct del Brasile. Una forza magica, spiegata con un difetto fisico, come nel caso di Garrincha: una cifosi della spina dorsale, per Maradona, che influenzava la muscolatura, con un quadrato dei lombi piu corto e spesso, piu tozzo. «Per noi il pallone era qualcosa da domare, per lui un prolungamento del corpo. Quando lo vedevo palleggiare, mi rendevo conto che il mio e il suo erano mestieri diversi», ha raccontato ancora Valdano, che pure e stato campione del mondo con quell'Argentina nell’86, un gran campione. Ma non come Maradona, nessuno come lui, in quanto a talento puro.
«Non te ne andare, resta», gli urlarono i 40.000 spettatori dello stadio di Buenos Aires quando lui, ancora raccattapalle, fece il giro del campo palleggiando, prima di una partita. E quando venne il suo turno, nell’esordio in serie A a quindici anni, non passo il primo pallone che toccava a un compagno piu esperto, ma lo utilizzo per un tunnel, un paio di dribbling e per puntare verso la porta. Subito leader. «Un fenomeno, ma gia un buon compagno di squadra», la testimonianza di un suo amico d’infanzia, Osvaldo Dalla Buona. Ancora troppo giovane, fu scartato da Menotti per i mondiali argentini del ’78, e dovette aspettare otto anni per rifarsi in Messico.
In mezzo, due anni nel Barcellona, resi difficili da un’epatite virale, dalla caviglia spezzata da Goicoechea e dalle liti con il presidente Nunez, ma anche la citta dove comincio a trasformarsi in un’industria con la «Maradona Producciones», sede nell’Avenida Diagonal, e soprattutto Napoli. La storia pazzesca di una citta per sette anni ai suoi piedi, dove tutto gli era concesso, dalla clamorosa festa al suo arrivo il 4 luglio ’84 fino alla rottura con Ferlaino, un altro dei potenti da sfidare, come i presidenti dell’Uefa e della stessa federazione argentina, e a seguire Menem e Bush, e alla fuga di notte, volo AZ576 destinazione Buenos Aires, dopo essere stato trovato positivo al controllo antidoping in Napoli-Bari del 17 marzo 1991.
Pochi mesi dopo, guarda caso, aver eliminato l’Italia in semifinale nei mondiali ’90, persi in finale con la Germania, per mano dell’arbitro messicano Codesal, in quella notte in cui l’Olimpico sprofondo nella vergogna per aver fischiato l’inno argentino, con il «hijos de puta» di un Maradona in lacrime. Napoli: dalla prima spigola mangiata con le mani, testa compresa, al Borgo dei Marinai, al coinvolgimento nell’inchiesta per traffico internazionale di stupefacenti ribattezzata «operazione Cina», per la presenza di un camorrista, «’o cinese» di Secondigliano.
I due scudetti con Bianchi (un nemico) nell’87 e con Bigon (un amico) nel ’90, lui il secondo santo della citta con San Gennaro. Le sue foto come un’immagine votiva. Di piu, non si puo dire. Di piu, c’era la cocaina. In molti sapevano, e chi sapeva copriva. Maradona era tutto, in tutti i sensi. Era le vittorie e i soldi. Era la felicita. Fino a quando e stato lasciato solo, a pagare, un peccato diventato all’improvviso soltanto suo. Abbandonato, ma non del tutto. I mondiali Usa del ’94 avevano bisogno del suo aiuto, gli sponsor reclamavano, premevano sulla Fifa, il battage promozionale con i Clinton, Faye Dunaway, Rod Stewart e Steve Wonder non era bastato a scaldare il novanta per cento dei distratti americani. Serviva Maradona.
Dimagri, torno in forma. Anche troppo in forma, pero. Spaventava chi non osava correre il rischio di doverlo di nuovo premiare come campione del mondo. E dopo l’urlo in diretta mondiale per il gol alla Grecia, fu inchiodato da un altro esame antidoping. Positivo, efedrina, nuovo scandalo mondiale. Da li, quando aveva gia 34 anni, tanti per un calciatore, non si e piu ripreso. L’ultima partita il 25 ottobre del ’97, 2-1 con il Boca in casa del River Plate. Il ritiro cinque giorni dopo, il giorno del suo trentasettesimo compleanno. Ma la sua vita senza calcio e durata la miseria di sette anni scarsi. Di piu, non ha resistito.
Ha scritto un bambino di Napoli: «Maradona, anche se io non l’ho conosciuto, non e un personaggio inventato, come Re Artu o l’Uomo Ragno. Maradona e veramente esistito, ed esiste ancora».
DIEGO ARMANDO MARADONA NEL DOCUMENTARIO DI KUSTURICAMARADONAmoggi maradonaMARADONAmaradonamaradonamaradonamaradonamaradonaMARADONA FISCHIATO ALL OLIMPICO
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