DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco Rasulo per “la Repubblica”
Il giorno del destino, 28 giugno '83. Un ragazzo di 33 anni, biondo, alto, occhi azzurri, appoggiato a una colonna del Camp Nou, che a Barcellona chiamavano ancora l'Estadi. «Arriva una macchina, un Golf rosso, rombando, quasi saltando, che si ferma bruscamente davanti al cancello chiuso. Gli faccio: "Hai visto Diego? Non è vero che il mattino ha l'oro in bocca"».
«E così tu sei il professore, l'amico del Flaco Menotti». Fernando Signorini non sapeva ancora che da quel giorno la sua vita e quella di Maradona avrebbero camminato insieme, da quell'estate e fino al 1994, passando per tre campionati del mondo e l'esaltante avventura napoletana. «Quando Maradona, poco tempo dopo, mi propose di fargli da preparatore personale, gli chiesi due o tre giorni per pensarci.
Penseranno che è un'altra delle tue stravaganze, gli dissi. Ma poi, uscito da casa sua, mi volevo suicidare. Ma come? Il più grande giocatore del mondo ti chiede di lavorare con lui e tu fai il prezioso. Tornai dentro e gli dissi: ok, accetto. Allora, rispose Diego, vai da Jorge e fatti fare un contratto. Jorge era Cyterszpiler, l'amico d'infanzia che lo scortava da quando, a dieci anni, Maradona era già un piccolo genio di periferia. Non poteva giocare, era poliomielitico, diventò il suo manager.
Niente contratto, dissi a Diego. Va bene una stretta di mano, così quando non sarai più contento ci lasceremo come due amici». Finì con Signorini al suo fianco, dall'intervento del killer basco Goikoetxea che gli spezzò la caviglia in tre punti, («il 24 settembre del 1983, chi può dimenticarlo») ai Mondiali del Sudafrica, nel 2010, con Maradona Ct della Selección.
fernando signorini diego armando maradona
«Una delle più grandi bugie che hanno detto su Diego è che non si allenava. Ma che sciocchezza. Secondo lei, uno così poteva permettersi il lusso di non allenarsi? Maradona era un animale, aveva un fisico eccezionale: altrimenti non avrebbe preso tutti i calci che ha preso, rialzandosi sempre prima del fischio di un arbitro. Si allenava quando gli altri finivano e perfino di notte, nel garage di casa a Posillipo. Se si metteva in testa di fare una cosa, la faceva». Vincere un Mondiale per passare alla storia del calcio, per esempio.
«I Mondiali dell'86. Gli dissi: questo sarà il Mondiale di Maradona o di Platini, sei tu a decidere. A Città del Messico si gioca in altura, ai difensori mancherà il fiato per starti dietro. Se scegli di vincere, per il francese non ci sarà niente da fare ». Il francese, Platini. Il grande rivale (ma anche amico) in Italia, dove Diego si era già levato lo sfizio di battere la Juve, con quel gol impossibile. «Una volta - continua Signorini - un giornalista francese mi chiese cosa sarebbe stato Maradona se avesse avuto la testa di Platini.
Semplice, sarebbe stato Platini. Diego era Diego, ma solo a Napoli. Guardate cosa sta succedendo oggi: la città lo ricopre d'amore, gli intitolano lo stadio, lo piangono in migliaia e sono passati trent' anni da quando ha smesso di giocare. Dove altro sarebbe possibile tanto amore? Certo, alla Juve avrebbe vinto qualche scudetto in più.
Ma Diego è stato felice a Napoli più che a Buenos Aires ». E la sua Argentina?. «Qui, nel nostro Paese, qualcuno alla fine si dovrà vergognare, stanno parlando dell'uomo più che del calciatore. Questa storia dell'eredità, dei figli non suoi: è penosa. Adesso che Diego non si può più difendere, è troppo facile. C'è una mancanza di rispetto che Maradona non meritava. Certo, lui non si è mai candidato al Nobel per la pace, né voleva essere preso come esempio da nessuno. Ma non dimentichiamo da dov' è venuto, che cos' era Villa Fiorito, e contro che cosa ha dovuto combattere».
La povertà, i pregiudizi, poi, da giocatore ricco e famoso, i demoni della dipendenza. «Tutti sapevano a Napoli della droga: presidente, allenatore. Nessuno ha fatto niente, contava solo che andasse in campo. E in campo Maradona era un uomo felice. Lì in mezzo era Ulisse circondato dai nemici, correva in campo e inventava le giocate, attaccava con l'astuzia dell'eroe greco, sorprendeva l'avversario nel suo punto debole.
jorge cyterszpiler diego armando maradona
E fuori dal suo mondo, rimaneva un uomo forse fragile, ma mai comune. Antipatico al potere, questo sì: perché combatteva le ingiustizie, non riusciva a tenersele dentro. E non sopportava di veder soffrire la gente. Le racconto un episodio: a Fuorigrotta, una vecchietta lo salutava sempre da un balconcino malandato. Diego un giorno si fermò per abbracciarla, a quella povera donna stava per venire un infarto
diego armando maradona jorge cyterszpiler
Da allora, ogni volta che passavamo di là per andare a Soccavo, ci fermavamo sotto quel balconcino, lui lasciava una maglietta, o un po' di soldi». E ora che perfino Pelé si è "riavvicinato" a Maradona, neanche l'antico dilemma viene sciolto dall'amico fedele dell'argentino. «Chi è stato più forte? Non lo so. Una volta Menotti ha detto che Di Stefano, Pelé, Maradona, Cruyff e Messi sono stati i cinque più grandi, che è stupido fare delle graduatorie. Sono d'accordo. Cristiano Ronaldo? Un formidabile cannoniere, ma non in grado di emozionare. Zidane e Rivelino, per dire, sono stati più grandi».
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