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Rachele Ferrario per Dagospia
Divine Alchemy. La divina alchimia, equilibrio perfetto tra mondi meravigliosi, fantastici, frutto dell’immaginazione degli artisti del pop surrealismo, che nella West Coast continuano a trovare interconnessioni tra le grandi collezioni dei pionieri dell’industria americana e la cultura della strada, della musica punk rock e del fumetto underground; senza dimenticare il ruolo antico dell’artista di custodire e vegliare sulla realtà per reinterpretarla con i propri occhi.
Gli artisti della Lowbrow art o Pop surrealism a Los Angeles hanno reagito alla pandemia, ai venti di guerra globale e a tutte le emergenze climatiche e umanitarie del nuovo secolo con grande energia creativa e opere ricche di simboli esoterici in un mix di tradizioni che riportano a un passato antico, quando l’artista era anche l’alchimista che vegliava sul fuoco vivo della materia perché non si spegnesse.
Tanto che Albrecht Dürer, protagonista e interprete della cultura rinascimentale, raffigurò la Malinconia in un’imponente figura alata e accanto ad essa pose, la clessidra, la bilancia, il quadrato magico e il compasso,gli strumenti del mestiere di chi misura e costruisce il mondo. Così Dürer diede un’immagine alla definizione e all’inclinazione naturale di chi si pone in ascolto e crea, ad uno stato d’animo.
Oggi più che mai un artista ha tanto più talento tanto più quanto riesce a catturare con la sua immaginazione la nostra per farci vedere ciò che gli altri non vedono, ad attivare in noi riflessioni, a spiazzare convinzioni e sovvertire pregiudizi e luoghi comuni.
Dominare ciò che è stra-ordinario, meraviglioso, fantastico: “ecco il poeta, il pittore, l’artista, a presiedere le metamorfosi e l’inversione del mondo, sotto il segno delle allucinazioni e della follia”.
Così scriveva negli anni 40 la scrittrice surrealista Susanne Césaire, francese della Martinica e amica di Breton, padre del surrealismo, l’avanguardia che ha sempre rappresentato una cultura di controtendenza e, ora che il surrealismo storico non esiste più, non smette di interessare i giovani.
Tra le artiste e gli artisti di Divine Alchemy alla Luz de Jesus Gallery di Los Angeles non c’è nulla che evochi le immagini fiabesche e allucinate della Carrington o la ferocia dei racconti autobiografici di Paula Rego. Le eroine nelle tavole a fumetti di Rachel O’Donnell sono vittime o donne infide, capaci di insinuare sospetti e persino di uccidere.
Michele Melcher viene dal mondo della grafica, tipico della cultura underground del Pop surrealism, declinato in versione dark: le sue sono icone di un moderno memento mori: suore, gran dame, dandy con volti di scheletro sorridenti.
Sullivan Giles Melancholia Dreaming
Valentine, una delle protagoniste, è vestita di nero e tra perfetti denti ossuti tiene sfrontatamente una rosa rossa. Melcher, abile disegnatrice, con grande ironia e abilità tecnica confonde il nostro sguardo e ci strappa l’antico sorriso dell’uomo davanti alla morte.
D’altra parte nel simbolismo e nelle avanguardie storiche da Kandinsky a Mondrian a Luigi Russolo scorreva la vena dell’occulto e la tendenza a credere in teorie per cui l’artista fosse un “veggente”. La stessa Carrington, che ha ispirato la Biennale di Venezia 2022, all’inizio del secolo scorso ci ha narrato spesso di mondi fiabeschi, dove s’intrecciano esoterismo, realismo magico e alchimia.
Metra Mitchell pensa come un’artista ma con le immagini narra da scrittrice l’intrecciarsi di storie, culture e destini diversi che provengono anche da vicende familiari. Sua madre è scappata dalla rivoluzione nell’Iran di Khomeini, suo padre è nato nella campagna del Kentucky nell’America del Sud.
Così Mitchell nelle tele inscena teatri della memoria, che costruisce nel suo studio, ricchi di simboli e di enigmi come il gatto nero, nell’accezione, però, degli antichi che lo consideravano di buon auspicio.
Con The Great InterrogationMitchell, invece, ci pone davanti a una scena tipo tortura della sacra inquisizione ma il guardiano coi baffetti alla Dalì sta mutando il sorriso crudele in un’espressione inebetita; la donna stringe i pugni, determinata a lottare: la scimmia ai suoi piedi – simbolo alchemico di trasformazioni e dialogo con l’interiorità, o del diavolo (nell’etimologia dell’antico arabo) e per secoli incarnazione del male sui portali medievali e simbolo di capacità di tenere a bada istinti primordiali e sfrenatezza sessuale nel Rinascimento – qui ha un altro ruolo.
La scimmia è l’unica che ci guarda negli occhi, mentre cerca di liberare la catena ai piedi della donna... Impossibile non pensare alle battaglie delle coetanee di Metra Mitchell nel paese di origine della madre e dov’è anche una parte delle sue origini.
Gli occhi di Jasmine Worth ricordano invece i tarocchi e rimandano al mondo interiore nello stile gotico di una certa cultura dark dove prevale il voyerismo alchemico religioso, trasformato in oggetto pop.
Sullivan Giles s’interroga sullo sdoppiamento della visione che in medicina ha un nome preciso, la diplopia, cioè vedere doppio o, meglio, sfocato: due realtà sovrapposte, di cui si riesce appena a percepirne una, e a indovinare l’altra prima che entrambe completino l’immagine.
L’artista in queste tele ritrae il suo volto e ha scelto il doppio titolo Melanchonia-Diplopia e ci riporta indietro nel tempo, quando l’astrologia poneva il mondo dell’alchimia sotto l’influsso del pianeta degli artisti, cui si attribuiva il sentimento della malinconia, che determina il temperamento degli artisti, nati sotto Saturno.
Jasmine Worth Michele Melcher Rachel O’DonnellRachel O’DonnellRachel O’DonnellMichele Melcher Michele Melchersurrealismo macabro di gigerdurer THE RENAISSANCE NUDEleonora carrington guggenheim ph camilla alibrandi 01leonora carrington guggenheim ph camilla alibrandi 09 dettagliorene?? magritte guggenheim ph camilla alibrandi 01max ernst guggenheim ph camilla alibrandi 02Jasmine Worth
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