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Paolo Berizzi per la Repubblica
“Ravo” è pazzo o c’è un pazzo che si crede “Ravo”? Uno che con le bombolette spara i quadri di Caravaggio sui muri delle città, nel ventre dei cavalcavia, sui piloni di cemento, nei parcheggi degli aeroporti. Uno che dice: «Trasformerò le strade italiane, e non solo quelle italiane, in un grande museo diffuso. Perché l’arte deve essere di tutti, e per tutti».
Andrea Ravo Mattoni è l’evoluzione “colta” del graffittaro 2.0: sulle tele urbane una volta disegnava i “puppet”. Poi ha deciso che lo spray era meglio usarlo per riprodurre le grandi opere dei classici: Caravaggio, Botticelli, Veronese, Piero della Francesca. Il che gli sta valendo la patente di artista “riconosciuto”. «Sì, finora sui muri ho fatto tanto Caravaggio. Sono lombardo come lui. E gli artisti li scelgo in base al territorio dove vado a lavorare ».
“Ravo” non è né acronimo né ologramma: 35 anni, da Luvinate che è il paese di famiglia. Figlio e nipote di artista. «Papà Carlo faceva arte comportamentale; mio nonno — prigioniero 7 anni in un campo in Africa — dipingeva i guerrieri Masai. Zio Alberto era illustratore». Di questo promettente albero genealogico Ravo jr ha espiantato e reipiantato la radice: ne è venuta fuori una strana declinazione di “arte pubblica”, street. I murales dei classici. Una specie di post-madonnaro. «La nostra pop art sono il ‘400, il ‘500, il ‘600. Gli Usa hanno Warhol, noi Caravaggio».
L’ultima opera di Ravo è la “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” — uno dei più celebri dipinti di Michelangelo Merisi. Impreziosisce un muro di San Salvatore di Fitalia, provincia di Messina. È lì che nel ‘69 il quadro fu trafugato ed è lì che il graffittaro lo fa rivivere adesso: «Tutti lo possono ammirare. Gratis…». Il concetto del “tutti” e del “gratis” è centrale: «Non faccio concorrenza ai musei. A chi vede i miei murales magari viene voglia di andare a vedere l’originale ». C’è chi vorrebbe e non può. «La mia idea è: dare a tutti l’opportunità di conoscere l’arte. A costo zero. Renderla pubblica».
Il giochino funziona e infatti Andrea Ravo Mattoni, per star dietro alle richieste di Comuni, aziende, privati cittadini, si è preso dei collaboratori. «Vado dove mi chiamano. Per un’opera mi occorrono 4-5 giorni. Ma non tutti i quadri sono riproducibili con la bombo-letta: dipende dallo stato di conservazione. Ci vuole una buona foto. Per dire: l’Ultima Cena di Leonardo è impensabile ».
La storia di Ravo inizia da uno strappo. «Al secondo anno di liceo artistico a Varese mi bocciano. Decido di fare il perito elettronico». Poi arriva l’Accademia di Brera e, nel 2003, l’idea di una factory con due amici. «Sono un writer anomalo. Mai fatto graffiti dove non si poteva. Mi interessava tenere una linea». La retta sparisce e poi ritorna ed è sempre la stessa: la bomboletta. «A Brera decido di smettere di usarla. Era il 2001-2002. Volevo fare un percorso di arte neoclassica: solo pennello. Il mondo dei graffiti mi sembrava limitato ».
L’arte, anche quella di strada, si evolve. «Nel 2010 riprendo in mano la bomboletta. Riparto da quello che facevo su tela: i classici». Sostiene Ravo che viviamo in una società satura di immagini. «Per questo ho voluto pescare dal passato. È da lì che tutto arriva ». La prima performance a Varese, ad aprile: la “Cattura di Cristo”. Caravaggio a spruzzo sotto un pilone di cemento. Poi la bomboletta si sposta nell’area di sosta dell’aeroporto di Malpensa: lo chiamano per decorare una parete di “Parking go” con il (sempre caravaggiesco)“ Riposo durante la fuga in Egitto”.
È il “suo” classico, Merisi. E siccome Caravaggio visse e produsse anche a Messina, l’ultima “commissione” arriva da là: ecco, dunque, la “Natività”. «In mezzo ci ho messo la Sardegna: all’aeroporto di Olbia Costa Smeralda ho riprodotto “La prova della vera croce” del Maestro Ozieri» (sardo).
Chi sarà il prossimo committente? «Mi chiamano anche dall’estero — dice Ravo — . Il mio sogno? Realizzare il più grande museo diffuso al mondo. Un’enorme pinacoteca a cielo aperto che riproduca le grandi opere dei nostri classici ». Follia? «Macché. Scusate, qual è il modo migliore per esportare la nostra arte nel mondo?».
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