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“IL MIO STILE DI VITA ERA NEGATIVO. NON MI RENDEVO CONTO CHE LE SCOMMESSE STAVANO DIVENTANDO UNA DIPENDENZA” – SANDRO TONALI TORNA A PARLARE DEI SUOI PROBLEMI DI LUDOPATIA E LA SQUALIFICA DI 10 MESI PER LO SCANDALO SCOMMESSE: “QUANDO UNA PERSONA E' IN UNA SITUAZIONE DEL GENERE, È DIFFICILE CHIEDERLE SE È MALATA: DIRÀ SEMPRE DI NO. LA DISPONIBILITÀ ECONOMICA NON MI HA FATTO ACCORGERE DELLA SERIETÀ DELLA COSA” – “IN INGHILTERRA RISPETTANO I PROBLEMI DI TUTTI, NON CALCANO LA MANO E CERCANO DI AIUTARTI…”
Estratto dell’articolo di Enrico Currò per “la Repubblica”
«No, non è esagerato parlare di una prima e di una seconda vita. Il mio stile di vita era negativo. Ero chiuso con tutti e questo mi faceva cambiare comportamento: anche con le persone che mi volevano bene e alle quali volevo bene. Ero così sia al campo di allenamento sia a casa, con amici e familiari. Oggi, per fortuna, sono diverso». Oggi Sandro Tonali, 24 anni, calciatore del Newcastle e della Nazionale, […] si è liberato di un peso enorme, consapevole della fortuna che stava prendendo a calci al posto del pallone, quando nei momenti vuoti afferrava il telefonino e scommetteva compulsivamente online sulle partite.
Ricorda la prima scommessa?
«No. È diventata un’abitudine a 17-18 anni. E la normalità quando ha cominciato a prendermi tanto tempo. Il fatto che fosse online mi oscurava da tutto, mi chiudevo nel mio guscio».
[…] Quando ha avuto la consapevolezza che le scommesse stavano diventando una dipendenza?
«Credo in realtà di non averla mai avuta. Quando una persona si ritrova in una situazione del genere, è difficile chiederle se è malata. Ti dirà sempre di no. Anche se sente che non è così. Non può pensare di avere quel problema, quindi tende a nasconderlo».
In questa rimozione inconscia contava la grande disponibilità economica?
«Nei mesi lontano dal campo ho passato tanto tempo con lo psicologo. Il suo lavoro era farmi capire come ci ero caduto. Di solito lo si capisce nel momento in cui si perde qualcosa: famiglia, lavoro, stipendio. Invece nel mio caso la disponibilità economica non mi ha fatto accorgere della serietà della cosa. È stato un lavoro di recupero difficile. Non potevo prendere farmaci specifici, perché col 95% di quelli sarei risultato positivo all’antidoping, così è stato tutto un percorso mentale: durato mesi, con psicologo e psichiatra».
[…]
Quanto l’ha aiutata l’Inghilterra?
«Tanto. Compagni e allenatore mi hanno sempre tenuto dentro, come staff e dirigenza. I tifosi del Newcastle e quelli avversari non mi hanno mai giudicato. Qui rispettano i problemi di tutti, non calcano la mano e cercano di aiutarti. L’aiuto più grande me l’hanno dato il professore Gabriele Sani, primario del reparto di psichiatria dell’ospedale Gemelli di Roma, i miei familiari, Giulia, Andrea Romeo e la sua famiglia che sono qui accanto a me, i miei procuratori Marianna Mecacci e Giuseppe Riso. Questa situazione ha rinsaldato il rapporto».
[…] Com’era la vita durante la squalifica?
«Il primo mese ero in viaggio tra Italia e Inghilterra. Non ho mai sfiorato la depressione, perché ho lavorato subito su me stesso. Tre colloqui a settimana online e uno in presenza ogni mese. Non ne ho saltato uno. Si parlava sempre del giorno prima, con tre lavori specifici: uno sulla mia persona, l’altro sul gioco d’azzardo e l’ultimo era il compendio. I 16 incontri organizzati dalla Figc li ho fatti in Italia: dopo i primi 6 mesi della squalifica, sono stato a Bari, Roma, Firenze, Milano, Verona. Incontravo i giovani delle squadre e gli staff».
[…] L’incontro più emozionante?
«A Newcastle, in una fabbrica che produce coperture per i tubi del gas nell’oceano. Ci sono andato perché in Inghilterra il gioco d’azzardo è molto diffuso. C’è stato chi mi ha detto, a diversi mesi dalla squalifica: “Ho smesso di scommettere per quello che è successo a te”. Erano ludopatici da anni. Un italiano mi ha raccontato che un dipendente guadagna 2000 sterline al mese, ma a volte ha bisogno di fare gli straordinari per mantenere la famiglia: butta troppi soldi nel gioco». […]
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