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GOMMONE D’AUTORE - UNA SCALA VERSO IL CIELO E UN PROFUGO DI 6 METRI: CON L’ARTE GONFIABILE IL RACCONTO (FUORI DIMENSIONE) DI SPERANZE E TRAGEDIE - LE SILVER CLOUDS DI WARHOL E LA MEGA SCULTURA DI ESCREMENTI BY PAUL McCARTHY

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Stefano Bucci per “la Lettura - Corriera della Sera”

 

warhol silver cloudswarhol silver clouds

Leggera e impalpabile, della stessa «materia dei sogni», tanto per citare Shakespeare. Solo in apparenza, però. Perché l’arte gonfiabile, quella che riesce a nobilitare persino il gommone da spiaggia e il salvagente-papera, è capace di essere assai concreta, affrontando temi di scomoda attualità:

 

con gli undici metri di Breath, monumentale versione pneumatica del ritratto di Alison Lapper incinta, che nel 2013 svettavano davanti alla Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, Marc Quinn «aveva voluto rappresentare il divario tra ciò che è accettabile nell’arte e non nella vita» (in questo caso la scultura di una giovane donna focomelica incinta).

 

Riuscendo spesso a coinvolgere lo spettatore in performance giocate sulla fisicità: Tomás Saraceno con la sua On space time foam aveva in pratica costretto nel 2013 i visitatori dell’Hangar Bicocca di Milano a muoversi su tre membrane trasparenti in pvc sospese nel vuoto a 24 metri d’altezza e sopra settemila metri cubi d’aria. 

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Così, poco dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre, il duo artistico belga Dirk Schellekens & Bart Peleman, ha piazzato su una piccola imbarcazione The inflatable refugee , un uomo, un profugo gonfiabile alto 6 metri e lo ha fatto girare per i canali di Venezia: «Un’opera d’arte di denuncia — l’hanno definita Schellekens &Bart — che serve a non far dimenticare l’enorme dramma che ogni giorno vivono milioni di persone nel mondo, spesso trattate in maniera disumana e che più di tutte soffrono degli sviluppi geopolitici».

 

La scelta del materiale non è stata certo casuale: «È lo stesso di cui sono fatti i gommoni usati da uomini, donne e bambini, per compiere le traversate, un materiale che rende i passeggeri vulnerabili». E nemmeno il nome: « Inflatable refugee sono le strutture gonfiabili utilizzate per la primissima accoglienza e l’assistenza sanitaria a terra di profughi e migranti» (le dimensioni imponenti vogliono invece rappresentare la grandezza del fenomeno e di come viene percepito). 

La storia dell’arte gonfiabile sembra davvero senza tempo: pochi giorni fa nel cortile di Palazzo Strozzi, a Firenze, ha preso forma la monumentale installazione Untitled di Paola Pivi, una coloratissima scala gonfiabile di oltre 20 metri di altezza, «che — spiega Pivi — porta all’estremo il confronto tra antico e contemporaneo nel cortile rinascimentale del palazzo».

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D’altra parte da sempre con il suo «realismo magico» l’artista (divisa tra Milano, Anchorage e l’India) tenta «di alterare la percezione ordinaria della realtà, di creare uno choc emozionale, un avvenimento surreale che rompe le comuni convenzioni dello spazio e dà luogo a nuovi e inaspettati significati».

La scala fa il paio con gli altri simboli del lavoro di Pivi: aerei rovesciati, zebre sorprese nel bel mezzo di in un paesaggio alpino, orsi multicolore, asini in gita in barca: Untitled (donkey) , maxi-stampa fotografica su telaio in alluminio montata sulla facciata occidentale della Biblioteca delle Scienze, era stato uno dei simboli della Biennale di Venezia del 2003. 
 

La scala, che nasce nel 2014 da un progetto pensato per il Giappone, posta all’interno del cortile di Palazzo Strozzi «è un oggetto svuotato di qualsiasi funzione pratica, sovradimensionato, instabile, temporaneo, fuori contesto; lo strumento di una salita non più fisica ma metaforica dello sguardo e delle emozioni del pubblico». 
 

C’è di tutto in questa ipotetica enciclopedia dell’arte gonfiabile, che sconfina nel design (la poltrona Blow di De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Scolari per Zanotta, 1967) e addirittura nel cinema ( Life Size di Luis Garcia Berlanga con Michel Piccoli, 1974). L’elenco è lunghissimo: le provocatorie e ancora una volta anticipatrici di tendenze future Silver Cloud (1964) di Andy Warhol; le molteplici versioni dei fiori e i conigli nella maggior parte dei casi rinchiusi tra pareti di specchi (1979) di Jeff Koons;

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il Big air package (2013) di Christo che all’interno del cilindro d’acciaio del gasometro di Oberhausen, in Germania, aveva realizzato un «grande impacchettamento d’aria in cui nuotare nella luce»; l’enorme paperetta galleggiante in gomma ( The rubber duck , 2007) di Florentijn Hofman, più volte replicata dall’Australia all’Europa, visto che tra i pregi dell’arte gonfiabile c’è anche quello di poter essere sgonfiata e quindi facilmente trasportata;

 

Purple was the rabbitt, il maxi roditore con tanto di ali con cui il duo Coniglio Viola (Brice Coniglio e Andrea Raviola) ha solcato nel 2007 la Laguna di Venezia «simulando una sorta di attacco dei pirati», per poi trasferirsi nel 2009 nel cortile del Padiglione d’arte contemporanea (il Pac) di Milano.

 

Fino al trasgressivo (e censurato) autoritratto di Pawel Althamer nudo con tanto di attributi al vento ( One of many , 2007). E poi Loris Cecchini ( Blaublogging , 2007); Stefano Ogliari Badessi ( My space , 2014, progettato nell’ambito di una residenza d’artista della Swatch); Renato Meneghetti ( Optional del 2014, una specie di cervello gonfiabile). 
 

Talmente grande sembra la voglia di affidarsi al «gommone d’autore» che a Hong Kong nel 2013 più di 150 mila visitatori hanno visto Mobile M+: Inflation! , mostra-mercato interamente dedicata all’arte gonfiabile. Tra le star dell’esposizione: Choi Jeong Hwa;

 

Jeremy Deller (suo è l’incredibile Sacrilege versione gonfiabile a grandezza del sito di Stonehenge, molto apprezzato dai giovani soprattutto come campo giochi); gli Jiakun Architects, Cao Fei, Tam wai Ping, Tomás Saraceno. E Paul McCarthy: che per l’occasione aveva esposto una mega scultura (naturalmente gonfiabile) raffigurante escrementi ( Complex pile ) mentre in occasione dell’Expo milanese aveva riproposto il più casalingo (e tranquillo) Daddies Tomato Ketchup del 2007. 
 

PAUL McCARTHYPAUL McCARTHY

Franco Mazzucchelli (1939) è stato tra i primi «a modellare l’aria», come ama dire lui stesso: «I miei Abbandoni sono del 1964 — racconta a “la Lettura —, allora ho scelto il gonfiabile perché era facilmente trasportabile ed era leggero e modellabile a piacere, ma anche perché il pvc assumeva per me un significato trasgressivo e perché potevo esprimere davvero quello che volevo; era un materiale che poteva servire ad avvicinare all’arte anche i non addetti ai lavori e non soltanto gli abituali frequentatori di musei e gallerie». Per questo Mazzucchelli ha portato le sue installazioni nelle periferie e, più in generale, nelle città. Italiane e no. 
 

Nel frattempo sarebbero venuti le Riappropriazioni , le Sostituzioni , gli Interventi ambientali (celebre un’ Elica nel Cortile di Brera del 1985), i coloratissimi Specchianti e l’installazione site-specific Filo a piombo (2011) per la Bocconi. «Solo quest’anno ho fatto diciotto mostre — aggiunge — ora vorrei fermarmi un attimo, anche se per il 2016 ho già in cantiere due appuntamenti, a Biella e a Roma: il fatto è che ora in tanti stanno scoprendo il pvc».

 

Ma c’è un problema: «Molte fabbriche sono chiuse o hanno dismesso i magazzini, ormai non si possono più comprare piccoli tagli di polivinilcloruro, il pvc appunto, come si faceva ai miei tempi. Come minimo sono rotoli da 1.500 chili». 
 

Dunque, ancora una volta l’arte (persino quella gonfiabile) torna a fare i conti con l’industria: la «Fly-Inflate» di Bene Vagienna (Cuneo) è un laboratorio «che dal 2005 progetta e costruisce forme speciali modellando l’aria», come spiega il titolare Mauro Oggero (gli inizi con Oliviero Toscani per Fabrica; il futuro tra hangar e droni naturalmente gonfiabili).

 

 

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Suo il gonfiabile del logo Orgoglio Italia (formato da tanti cerchi tricolori) che ha ravvivato il fiore dell’Albero della vita all’ultimo Expo; suoi anche la Time Capsule di Eva Frapiccini, la mano per l’ultimo spettacolo di Virgilio Sieni, i costumi-scultura per la compagnia Dewey Dell:

 

«Quello che ci chiedono, lo realizziamo sempre o quasi — racconta a “la Lettura” —, certo una piramide rovesciata non sarebbe possibile, il tessuto non reggerebbe». Ma solo per una questione di bar, l’unita di misura della pressione, o meglio di pascal (per fare un bar ce ne vogliono 100 mila), unico limite apparente alla creatività gonfiabile.