DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alessandro Pasini per “Il Corriere della Sera”
Il grande club adesso reagisce. Ma il Napoli lo è? Aurelio de Laurentiis deve certo pensarlo perché, appena sbarcato a Capodichino ieri mattina con la squadra, ha annunciato: «Saremo più forti in campionato». Sarà. Ma la tremenda derrota del San Mames ha evidenziato così tante lacune, in tutti i settori, che la rinascita immediata di questo gruppo scombinato e senza bussola sembra piuttosto un’utopia.
Per capire la gravità della situazione, facciamoci intanto qualche domanda, in ordine sparso. Davvero Rafael può sostituire in porta Reina, lider maximo lo scorso anno? Davvero la difesa è degna, non si dice della Champions, ma di una corsa scudetto? Davvero Jorginho è pronto per le grandi sfide? Davvero può essere Gargano il salvagente della mediana? E ancora: gol a parte, Hamsik è un leader autentico? Ce lo chiediamo da anni ormai, e già questa forse è una risposta. E poi: Higuain, così solo e così nervoso, avrà voglia di vivere ancora sul Golfo senza Champions o cercherà invece — più a gennaio che adesso però — un altro approdo?
Rispondiamoci con onestà, e capiamo che questa squadra ha grossi limiti strutturali, di tecnica e di carattere. Non è tutto, però. Perché intorno, ad amplificare le carenze di base, ci sono i preoccupanti lapsus della società e dell’allenatore. La prima non ha praticamente fatto mercato, a meno che non siano shopping di alto profilo Michu, Koulibaly, De Guzman (che in Spagna non c’era) e David Lopez (in arrivo).
De Laurentiis sperava di entrare in Champions con spesa minima, guadagnare soldi e reinvestire più tardi, ma non aveva fatto i conti con il sorteggio. Tra la quarta squadra della Liga e la terza della serie A infatti non c’è gara, a conferma dell’abisso che separa i due movimenti in tutto: gioco, preparazione atletica, soldi, stadi, lungimiranza, cultura sportiva.
Poi c’è Benitez, transitato in breve dalla rivoluzione all’involuzione. Il suo Napoli non gioca più a calcio: a Bilbao, sotto pressing, non è riuscito mai a sviluppare ripartenze in palleggio, variazioni di manovra, calcio decente. Solo palla lunga e pedalare piano.
La squadra corre poco e male (tipico limite italiano cui lo spagnolo si è adeguato), per tacere degli orrori in fase difensiva, un classico già l’anno scorso. L’esempio evidente — più ancora del tragicomico secondo — è il primo gol dell’Athletic: difensori che su corner lasciano un attaccante così libero, a questi livelli, non si possono accettare, perché certi movimenti si allenano e dovrebbero venire in automatico.
Mercoledì notte in aereo Benitez era scurissimo, come mai prima, e di certo la lunga chiacchierata con De Laurentiis — il rapporto col quale è ai minimi storici — non è stato leggero. In città si dice che Rafa, scontento del club, avrebbe lasciato volentieri il Napoli già a luglio, e al momento è impensabile il rinnovo del contratto che scadrà nel 2015.
Benitez in passato ha spesso invocato i fatturati come spiegazione di certi ritardi del Napoli, ma come la mettiamo adesso che ha perso con una squadra che ha 27 milioni meno di fatturato (fonte Deloitte) e 80 milioni meno di valore della rosa (fonte Trasfermarkt)? Il punto è un altro, e lo ha spiegato bene, indirettamente, il tecnico dell’Athletic, Ernesto Valverde: «Noi siamo un esempio di come si possa arrivare al successo muovendo da altre basi, con valori differenti».
Non si tratta di avere undici napoletani come gli undici baschi del Bilbao, ma più semplicemente di avere un gioco, gambe allenate e unità di intenti. Solo così, in futuro, si potrà dire che la riscossa del Napoli è partita proprio dal disastro del San Mames. Altrimenti, da qui a maggio 2015 sarà una lunga, lunga nottata.
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