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ALLA SCOPERTA DELLA “VITA SCONNESSA” DI ENZO CUCCHI ATTRAVERSO LA VOCE DI CHI LO HA CONOSCIUTO, AMATO, ODIATO: “PERCHÉ CON ENZO PRIMA O POI SI LITIGA, SALVO POI PENTIRSENE PERCHÉ ALLA LUNGA TI RIEMPIE DI IDEE, EMOZIONI, INTUIZIONI, FOLLIE”

Da “Vita sconnessa di Enzo Cucchi” di Carlos D’Ercole

con emilio mazzoli, roma 1982con emilio mazzoli, roma 1982

 

Conosco Enzo Cucchi da una decina d’anni, forse qualcuno in più.

La prima volta deve essere stato a cena a Roma dal Moro, dove campeggia la gigantografia dell’oste che ha recitato nel Satyricon di Fellini. Il posto è come dicono gli inglesi un po’ “stiff”, ingessato. Enzo come al solito non era per nulla rilassato, avvertiva la pesantezza nell’aria, per di più non poteva fumare.

 

Prendendo spunto dal mio nome, iniziò a parlarmi entusiasta di Carlos Monzón e si creò forse in quel momento una magica complicità.

cucchi e bonito oliva roma 1990cucchi e bonito oliva roma 1990

Negli anni a seguire ci siamo incrociati tante volte nel centro di Roma, ci siamo scambiati alcune battute, ma senza reciproci approfondimenti.

 

Eppure rimanevo sempre incuriosito da quella magrezza nervosa, da quel camminare incerto avvolto in nuvole di fumo che lo rendevano simile a un personaggio di Andrea Pazienza.

Il suo conversare stralunato prevedeva improvvise punte polemiche sul mondo dell’arte e ne ricavavi la sensazione che, nonostante il successo, fosse rimasto un solitario, in perenne lotta contro l’ennesimo gallerista furfante, l’ennesimo collezio- nista ignorante, l’ennesimo critico allineato al sistema.

 

Una foto della metà degli anni Ottanta di Gianfranco Gorgoni coglie meravigliosamente la sua essenza. Enzo è a spasso da solo sull’Appia Antica, attorno a lui il vuoto più totale, come fosse in uno scenario post-apocalittico. Ha una camminata decisa, la testa volta verso il basso, prigioniero dei suoi pensieri.

lucio amelio e mimmo paladino 1979lucio amelio e mimmo paladino 1979

 

Solo di recente, sfogliando alcuni cataloghi di sue vecchie mostre, ho notato con quanta attenzione critica vengono vivisezionate le sue opere e quanto poco spazio venga invece dedicato alla sua filosofia di vita, al suo modo di affrontare l’arte.

kiefer, beuys, kounellis, cucchi, amman, basilea 1985kiefer, beuys, kounellis, cucchi, amman, basilea 1985

 

Il desiderio di rovesciare questa angolazione mi ha fornito il pretesto per questa storia orale di Enzo Cucchi, in cui ho dato la parola a chi lo ha conosciuto, amato, odiato, perché con Enzo prima o poi si litiga, salvo poi pentirsene perché alla lunga ti riempie di idee, emozioni, intuizioni, follie.

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Una storia orale non prevede filtri, censure, è un fiume inarrestabile di aneddoti, provocazioni, piccole vendette e rappacificazioni.

Parlare di Cucchi per gli intervistati è anche un modo di rimettersi in gioco, di raccontare la loro visione dell’arte, di aggiungere qualche tassello in più alla ricostruzione di almeno trentacinque anni di arte contemporanea in Italia e non solo.

 

Si sono prestati al gioco suoi estimatori come Luigi Ontani e Miltos Manetas, vecchi compagni di strada come Francesco Clemente e Mimmo Paladino, galleristi della prima ora come Emilio Mazzoli, Paul Maenz, Bernd Klüser, nuovi complici come Salvatore Lacagnina, amici fraterni come Jacqueline Burckhardt e Brunella Antomarini. Questo libro non sarebbe stato possibile senza l’aiuto indispensabile di Alessandro Cucchi e la pazienza infinita di Giorgia.

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LA TESTIMONIANZA DEL GALLERISTA EMILIO MAZZOLI

 

Non conoscevo Emilio Mazzoli prima di cominciare questo lungo viaggio alla ricerca di aneddoti su Enzo.

Me lo dipingevano come un gaudente emiliano, con un amore infinito per la tavola, i quadri e i libri. Da qualche parte avevo letto dei suoi leggendari pranzi con Tano Festa che prevedevano l’incursione in almeno cinque ristoranti nello stesso giorno.

 

Mazzoli mi riceve nella sua biblioteca e mi racconta con quel suo inconfondibile accento modenese la tenacia di Sandro Chia, la follia di Enzo Cucchi, il tradimento americano di Francesco Clemente, la genialità di Gino De Dominicis, la velocità di esecuzione di Mario Schifano.

 

Mezzo secolo di vita da gallerista a contatto con tutta l’arte mondiale senza mai mettere piede fuori dalla provincia.

In fondo basta un telefono per commissionare, per vendere, per comprare.

chia, paladino, schnabel, cucchi, german??, venezia 1980chia, paladino, schnabel, cucchi, german??, venezia 1980

Parise lo descriveva come un personaggio uscito da un romanzo di Conrad, la biografa di Basquiat come un incrocio fra Babbo Natale e Henry Geldzahler.

Generoso, affettuoso, a microfono spento mi racconta il suo primo incontro con Lucio Amelio:

«Emilio, sei normale o ti piacciono le donne?».

«Lucio, se la metti così non posso che dirti che sono molto malato».

       

….

 

 La verità è che io allora lavoravo con Schifano, all’inizio degli anni Settanta. Avevo una

galleria a Modena che si chiamava Futura e avevo fatto una mostra o due, ma i tempi non erano ancora maturi per fare delle gallerie. Allora conobbi, per vendergli degli Schifano, Mario Pieroni che si era ritagliato nel magazzino dello zio (all’interno di un supermercato) uno spazio, il Mondo delle Idee, in cui produceva dei multipli di Ceroli e di Spalletti.

 

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Lì lavorava questa donna che veniva dall’Africa, Lucrezia De Domizio. Naturalmente da cosa nasce cosa e ne venne fuori un’amicizia. Lucrezia veniva spesso a Modena a trovarmi. Una donna agitata, estremamente vulcanica, intraprendente. Conobbe un nobile pescarese, Buby Durini, che all’epoca aveva problemi, credo la moglie non stesse bene. Viveva da solo, abbandonato nelle sue proprietà, beveva e andava in barca. Lucrezia lo mise in riga, gli ordinò la casa e noi dell’arte andavamo lì da loro. Ma niente più.

 

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Sandro Chia l’ho conosciuto tramite Tano Festa che mi parlò di lui nel 1972 all’indomani di una mostra con Notargiacomo al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Chia era un ragazzo pieno di idee. Venne su a Modena e diventammo amici. Sandro in quel periodo andava da Buby e da Lucrezia a giocare a bi- liardo e a chiedere qualche lira. Ma Lucrezia era totalmen- te fuori dal mondo dell’arte. Se proprio vogliamo dire che era dentro, lo era solo per derivazione tramite Pieroni.

 

La gente si crea delle illusioni e finisce per raccontare la Storia a modo suo. Non capisco la definizione di casa popolare. Sono cresciuto in un quartiere di villette a schiera, abitato da dirigenti di banca, giovani avvocati. Un posto normalis- simo, anche se non di miliardari. Tornando alle origini della Transavanguardia, nel 1977 ero un giovane gallerista pieno di ambizioni ma attraversavo un periodo di stanchezza. L’arte in quel periodo era qualcosa di intangibile: arte con- cettuale, body art di derivazione americana. Non si vendeva niente. Andavo in studio da Kounellis che aveva il magazzi- no pieno di opere invendute, bastava scegliere e ti portavi a casa quello che volevi. Stessa cosa dicasi per Turcato e Tano Festa. Solo Schifano vendeva tutto quello che produceva. Era un uomo dinamico, capace di fare.

enzo cucchi e isabella fabbrettienzo cucchi e isabella fabbretti

….

 

Mi racconti la prima volta che vennero da te Cucchi e Chia?

Arrivarono da Roma in treno. Volevano farsi pubblicare quel famoso libro che diventò Tre o Quattro Artisti Secchi. Cucchi aveva fatto anche dei disegni sulla carta igienica. Trovai il libro molto interessante e decisi di pubblicarlo im- mediatamente. Nasce così il rapporto con Enzo e la primissima mostra Tre o Quattro Artisti Secchi.

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Quindi la costruzione a tavolino della Transavanguardia descritta dalla De Domizio è una pura invenzione.

Per forza. Nel 1974 Chia faceva ancora la scimmia sull’attaccapanni, Paladino e Cucchi lavori concettuali. Non era neanche pensabile. Tutto inizia con Cucchi che gira per le gallerie di Roma come quella di Pio Monti e conosce Chia. Nasce un intrigo fra i due. Chia è un uomo di grandissima cultura, con un passato in accademia, che conosce gli strumenti, un pittore toscano della tradizione, alla Soffici, alla Primo Conti, anche se lui potrebbe offendersi per il paragone.

 

Enzo Cucchi Friend Enzo Cucchi Friend

Chia arriva a Roma come Brunelleschi per conquistare la città e conosce la vita dura. E incontra Cucchi, il visionario. Il loro viaggio ricorda quello di Tano Festa con Schifano verso Mexico City con il primo che immaginava i quadri e il secondo che li realizzava. Cucchi e Chia fecero così vari quadri insieme. Secondo te chi ha venduto a Bi- schofberger queste primissime opere a quattro mani di Cucchi e Chia? L’operazione fra Clemente, Warhol e Basquiat si ispira a quei lavori…..

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