DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Estratto dell'articolo di Paolo Condò per “la Repubblica”
L’estate zuccherina di Luciano Spalletti, il cui sorriso passa dal concerto dei Coldplay a una serata a Ischia — transitando per una battuta sul calcio “facile” che da sola riattizza il dibattito tecnico e di costume — prosegue nell’evidenza che l’allenatore campione d’Italia se la stia godendo, e alla grande. Potenza dello scudetto appena vinto — una laurea a 24 anni lancia l’esistenza, una a 64 la corona — e di una vacanza fisica e mentale che si protrarrà, perché il tecnico di Certaldo ha scelto di non difendere il titolo e si è separato dal Napoli.
Da fuori si è capito quanto la vittoria sia costata in termini di stress, generale e interpersonale col presidente De Laurentiis. Ma anche al di là della motivazione, colpisce il fatto che Spalletti sia il quarto tecnico campione degli ultimi cinque anni a non rimanere nel club con cui ha appena vinto il campionato: circostanza rarissima altrove, e che invece in Italia si sta ripetendo con frequenza sospetta.
Soltanto Stefano Pioli, campione d’Italia un anno fa col Milan, ha proseguito. Nel 2021 Antonio Conte si lasciò con l’Inter dopo averle ridato lo scudetto perché le cessioni di Lukaku e Hakimi l’avevano convinto che la difesa del titolo sarebbe stata impossibile. Nelle due stagioni precedenti era stata direttamente la Juventus a esonerare prima Max Allegri e poi Maurizio Sarri, entrambi liquidati all’indomani della festa scudetto.
Le ragioni furono diverse, o meglio entrambe riconducibili all’acquisto di Cristiano Ronaldo, ma da lì difformi: Allegri saltò perché la delusione di non aver vinto la Champions nella prima stagione con l’asso portoghese — la finestra migliore per un’ovvia questione anagrafica — fece scopa con la lezione subita dai giovani dell’Ajax nei quarti di finale. Paratici e Nedved spinsero molto per l’investitura di Sarri, il cui Napoli aveva convinto tutti sul piano del gioco (e poi al Chelsea aveva vinto l’Europa League), ma se da una parte Ronaldo non si lasciò conquistare, dall’altra la vecchia guardia decisamente non lo prese in simpatia.
Non a caso il miglior juventino dell’ultima stagione da scudetto fu Paulo Dybala, mai centro di potere nello spogliatoio come la sua dismissione ha in seguito dimostrato. Semplificando, quindi, negli ultimi cinque anni due campioni d’Italia sono stati cacciati, uno si è dimesso per divergenze di mercato e un altro se ne è andato per frizioni caratteriali. Prese tutte assieme sono storie che raccontano il campionato più stressato del mondo, e una volta non era così. Nei diciotto anni precedenti era successo soltanto tre volte, e due — Conte dalla Juve nel 2014, Mourinho dall’Inter nel 2010 — erano state dimissioni. Roberto Mancini, invece, nel 2008 era stato esonerato da Moratti in favore di Mou malgrado lo scudetto appena vinto.
In Premier League è successo una sola volta in questo secolo. Al termine della stagione 2012-13 Alex Ferguson vinse il suo 13° campionato col Manchester United e decise di averne abbastanza. Scelse (male) il suo successore nella persona di David Moyes, e si accomodò in quella che di lì a poco sarebbe diventata la Sir Alex Ferguson Stand, la tribuna di Old Trafford a lui dedicata…
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