COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Foto di Ferdinando Mezzelani per Dagospia
Riccardo Panzetta e Francesco Persili per Dagospia
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Rivera, Tardelli o Grosso? Il 4-3 del’70, il 3-1 del 1982 o lo 0-2 del 2006? Qual è stato l’Italia-Germania più bello di sempre? Nel cinquantesimo anniversario della ‘Partita del secolo’ la retorica abbonda sulla sfida dell’Azteca. Il più grande romanzo popolare del Novecento o un mito sovradimensionato? “Errori ne sono stati commessi millanta, che tutta notte canta. I tedeschi ne hanno forse commessi meno di noi, ma uno solo, madornale, è costato loro la sconfitta”.
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Quando Gianni Brera sentiva usare l’espressione ‘partita del secolo’ a proposito di Italia-Germania 4-3 inorridiva. Marino Bartoletti ricorda su Facebook come “Il Grande Lombardo” sosteneva che fosse stata “una partita bruttissima, diventata leggendaria per una somma di errori tattici e individuali che generarono (quasi) altrettanto gol e una somma di emozioni indimenticabili”.
Enrico Ameri la definì con sobrietà “una partita entusiasmante, drammatica e diciamo anche meravigliosa”, come rammenta Riccardo Cucchi nel libro “La partita del secolo” edito da Piemme. “Tredici eroi moderni. Gli azzurri di quella notte sono stati l’esempio di come il calcio viva di venditori di sogni e sia sostenuto, addirittura celebrato, da milioni di appassionati disposti a inseguire quei sogni, a viverli a loro volta”.
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Sulla sfida dell’Atzeca sono stati scritti libri, realizzati film e piece teatrali, la macchina narrativa dei baby boomer l’ha appesa nell’immaginario come la bandiera del riscatto di una nazione. Trasformandola in un santino pallonaro a cui portare lumini e devozione.
A questa narrazione hanno contribuito anche i protagonisti di quella partita. Erano i figli della guerra, si chiamavano Tarcisio (Burgnich), Comunardo (Niccolai), Giacinto (Facchetti), venivano da famiglie modeste, avevano iniziato a giocare all’oratorio come Boninsegna e Albertosi oppure erano ‘Rombo di tuono’ di una stagione in cui tutto era possibile, anche che il Cagliari si cucisse lo scudetto sulle maglie. A far saltare il banco Gigi Riva, l’uomo che mise la Sardegna al centro della cartina geografica del calcio nazionale dominato dalle grandi del Nord. Todo cambia, anche nel pallone.
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In quel mondiale si giocava anche mezzogiorno (ora locale) per favorire la tv, ormai globale, a costo di far boccheggiare i giocatori in campo. Tutto era pensato per la tv, anche il pallone, Telstar. Nel nome di quel pallone, il destino del gioco: Television Star. 12 pentagoni neri, 20 esagoni bianchi. Ma il sogno era a colori. Per tutti. C’è un prima e c’è un dopo, nel mezzo il gol di Rivera, estasi e tormento.
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Un mito per baby boomer, dicevamo. Solo che quella partita, a ben guardare, è mitologia, narrazione sovrabbondante ma da "zero tituli". Dopo quella scazzottata con i tedeschi, l’Italia arrivò spompata alla finale con il Brasile e prese quattro ceffoni. Il ct Valcareggi, che in finale rinunciò alla staffetta Mazzola-Rivera, fu scortato dalla polizia al rientro a Fiumicino quando la Nazionale venne accolta da un fitto lancio di sassi. Per l’Italia del Boom si spalancava l’inferno dei Settanta.
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Senza la retorica debordante di certi cantori generazionali, quella partita sarebbe considerata ancora “la partita del secolo”? Probabilmente no. E forse è ora di aggiornare gli almanacchi.
Mario Sconcerti ha scritto che “la più bella partita dell'Italia nel dopoguerra” fu quella dei Prandelli boys a Euro 2012 contro i tedeschi: “Solo nell'82 ci fu altrettanto poca partita, ma erano due squadre stremate con un Paolo Rossi in più. Nel '70 rimanemmo in area tutta la partita, la leggenda nacque solo nei supplementari. Quasi nello stesso modo è andata nel 2006”.
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Ecco, se vogliamo incastonare un vittoria degli Azzurri nella cornice devozionale, anche se avvenuta in un altro secolo, perché non la sfida contro la Germania al mondiale 2006? “Que partidazo”, direbbe Federico Buffa. Non solo perché i tedeschi, tra i favoriti alla vigilia, erano padroni di casa ma perché ci ospitarono in un fortino, quello di Dortmund, in cui non avevano mai perso.
Una partita entusiasmante, piena di occasioni da ambo le parti, una “rumble” sfacciata, palo di Gilardino, traversa di Zambrotta, i voli di Buffon, l'assist di Pirlo, magia di Grosso, anticipo di Cannavaro, il lancio di Totti, il raddoppio di Del Piero. Putiferio, orgasmo, Caressa ululante “andiamo a prenderci la coppa, Beppe”. Fu l’ardimentoso antipasto della vittoria finale. Diventammo campioni, sì.
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Era l’Italia di Calciopoli, la Figc commissariata, c’era chi diceva che la nostra squadra si sarebbe dovuta autoescludere. I giornali popolari tedeschi rispolverano i luoghi comuni sugli italiani “mangiaspaghetti e mafiosi”. L’allora presidente della Fifa Blatter ci schifava al punto che si rifiutò di premiarci a Berlino. Tutto era contro di noi, anche la loro personalissima cortesia. E abbiamo vinto. Più epica di così.
LIPPI
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Da sportsky.it
"All’inizio del ritiro a Duisburg c’era un laghetto con un’acqua fangosa, davvero schifosa. Io dissi ai ragazzi che mi sarei fatto il bagno lì nel caso in cui avessimo raggiunto la finale. Mi presero in parola", ricorda divertito Lippi.
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Che prosegue nel suo racconto: "Quando arrivò il momento di mantenere la promessa, prima di andare a indossare la tuta – perché non volevo davvero tuffarmi nudo in quell’acqua sporca – andai in cucina e dissi al cameriere di mettermi un grosso pesce dentro un sacchetto di plastica con alcuni sassi dentro e di legarlo al lampione vicino al laghetto. Oltre a questo, anche di prepararmi una specie di fiocina. Quando mi tuffai – prosegue Lippi – presi il pesce, tolsi il sacchetto e uscì dall’acqua facendo finta di averlo pescato. Tutti si misero a ridere, mentre Iaquinta mi disse ‘Che fortuna mister’, perché credeva che lo avessi pescato davvero".
L'aneddoto con i fotografi prima della gara col Germania
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Marcello Lippi ricorda poi un altro aneddoto relativo al pre Italia-Germania: “Prima di cominciare l'allenamento mentre i ragazzi si divertivano col pallone, vidi delle luci nella pinetina intorno al campo, pensai ci fossero degli operatori con delle telecamere o comunque con delle macchine fotografiche per spiarci. Io non volevo dare vantaggi a nessuno, allora chiamai la squadra e dissi che non avremmo fatto nulla spiegando il motivo.
Così andammo davanti la pinetina, ci abbassammo tutti i pantaloni e mostrammo il sedere: evidentemente non c'era nessuno nascosto, altrimenti quella foto avrebbe fatto il giro del mondo".
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Lippi che risponde poi così a una domanda sul futuro e su un eventuale ritorno alla guida della nostra Nazionale: "Allenare l'Italia sarebbe meraviglioso, ma ho già dato una prima volta, poi una seconda meno bella. La terza sarebbe troppo. Poi non ho più intenzione di fare l'allenatore di una squadra di club. Fra qualche mese che non avrò più voglia di far niente, se mi capitasse una nazionale più vicina ad esempio rispetto alla Cina ci penserò. È già capitata una chiamata ma è successa anche questa epidemia e ora dobbiamo solo sperare che finisca il prima possibile. Facciamo passare l'estate e poi vediamo".
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