FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
1. FIGC, CARLO TAVECCHIO E' IL NUOVO PRESIDENTE ++ IL CANDIDATO DELLE LEGHE ELETTO CON IL 63.63%
(ANSA) - Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, non ha atteso nemmeno la fine della terza votazione per lasciare l'hotel Hilton di Roma Fiumicino dove si sta svolgendo l'assemblea elettiva per la presidenza della Figc. Lo stesso hanno fatto, dopo aver votato, molti altri delegati anche di società di primo piano.
2. DAGOREPORT
Carlo Tavecchio evidentemente è più forte delle bucce di banana, di Agnelli, Della Valle, Cairo e dei loro giornali Rcs (La Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera), più forte di Sky e del desiderio di commissariamento di Megalo' Malago' capo del Coni: l'hanno assediato per più di un mese, scalfendolo ma non affondandolo.
Così il calcio italiano che vota e conta elegge il settantunenne brianzolo nuovo presidente della Federcalcio, la Federazione più importante d'Italia e fra le prime del mondo. Alla terza votazione all'Hilton di Fiumicino è bastato il 50% più uno e alla seconda chiama Tavecchio ha ottenuto il 64% contro il 34% di Demetrio Albertini sostenuto da calciatori, allenatori e a sorpresa anche dagli arbitri.
Per Tavecchio la gran parte di A, B, Lega Pro e dilettanti, con il coordinamento di Claudio Lotito e Adriano Galliani vincitori di sostanza dell'aspra battaglia. E ora un governo davvero di riforme, altrimenti il calcio fa la fine della Concordia.
3. FIGC. ATTRITI E NERVOSISMO TRA CLUB DI A, MA NESSUN LITIGIO
(ITALPRESS) - Scintille in vista dell'ultimo voto ma nessun litigio: «Non è vero che abbiamo litigato». Il presidente della Lazio, Claudio Lotito, smentisce le voci su una presunta lite con il patron della Juventus, Andrea Agnelli, che avrebbe coinvolto anche l'altro oppositore al numero uno bianconero, Enrico Preziosi.
La coda per la votazione del terzo scrutinio all'Assemblea Elettiva Figc diventa così il motivo per il chiarimento, anche se qualche attrito resta: «È dall'altra parte che sono un po' nervosi...», dice lo stesso presidente del Genoa, subito seguito dalla stilettata di Aurelio De Laurentiis: «Casomai è Agnelli che litiga con tutti».
4. LOTITO, LA PECORA NERA IN CERCA D’UN LATIFONDO
Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"
Come da perfetto anagramma del cognome, adesso Lotito aspetta un titolo. Una conferma definitiva, un trono solido, un comodo latifondo da cui dettare legge osservando da pastore l’impaurito gregge del calcio italiano. Fino a dieci anni fa, nell’indistinto belare dei colleghi, Claudio era la pecora nera. L’elemento spurio. L’agente esterno. L’ultimo arrivato in un consesso gestito secondo regole immutabili.
Il pingue Lotito allitterava verbose immagini in bilico tra il romanesco e il latino, disturbava Seneca divorando supplì nel bel mezzo della citazione colta, discettava di sinestetiche moralizzazioni, cazziava i conduttori televisivi in diretta e con la pala, a tempo perso - pecunia non olet - raccoglieva denaro trasformando i rifiuti in profitti e le sue imprese di pulizia e manutenzione in volani per le sue imprese.
fratelli della valle, malago', abete, marino, zingaretti
A un paio di lustri dal suo ingresso nel circo, dimagrito di venti chili, Claudio si muove da domatore ubiquo sostenendo insieme al suo sponsor Adriano Galliani, la corsa del gaffeur Tavecchio alla testa della Federazione. È presente a ogni assemblea, l’instancabile Lotito. Ed è solo osservandolo, tra un abbraccio e un proclama, che si capisce in che misura e per quanto tempo tra un soprannome (Lotirchio) e una snobbissima alzata di spalle di quello che il filosofo Ricucci, senza torto, chiava-ma “il salotto fracico”, il presidente della Lazio sia stato colpevolmente sottovalutato. Gli altri ridevano. E Claudio fondava la Snam, l’Aurora e la Bonadea. Gli imprenditori romani ironizzavano.
E Claudio, tra i mattoni, sposava Cristina Mezzaroma. Durante i brunch ampezzani, i cristallizzati protagonisti degli universi vanziniani si davano di gomito davanti alle improbabili tenute tirolesi di “Lo-tutto” e il sor Claudio, circondato da 1.600 metri quadri di silenziosa reggia, stringeva accordi e otteneva commesse con regioni, province, ospedali, banche, Asl e persino con la Guardia di Finanza. I suoi limpiavano i cessi con la divisa d’ordinanza, gli altri arricciavano il naso e Lotito in doppiopetto agitava il pallottoliere.
Abile interprete della sottile distinzione tra la gloria e la merda figlia del genio dello sceneggiatore Luciano Vincenzoni, senza paura di sporcarsi, Claudio ha messo le mani nella seconda per ottenere schegge della prima. Quando salvò la Lazio da sicuro decesso staccando prima un assegno da quasi venti milioni di euro e rateizzando poi il debito con l’erario fino al 2028 si disse (e nessuno fece nulla per smentire) che la politica, con un prestanome malleabile, avesse messo le mani sulla Lazio.
Erano i tempi dell’amicizia con Francesco Storace e del volo non ancora in caduta di Alleanza Nazionale e Lotito, illuse i corazzieri di essersi comodamente seduto su un taxi di palazzo per poi scendere, salutare in un amen e lasciare gli sponsor di un lontano giorno senza lieto fine. Ogni tanto, tra una soluzione per la compagnia di bandiera ormai superata dagli eventi (“Datemela, la risano in cinque anni”, diceva di Alitalia) e un passaggio a Montecitorio: “Perché, nun posso andà? Ho tanti amici, mi vogliono bene” risorge il sogno antico dell’autocandidatura alla guida della Nazione. Ieri “Al di là dell’ideologia e dell’appartenenza, solo ed esclusivamente a tempo determinato”.
Domani chissà. Sintonizzandosi con pazienza sulle onde dell’eloquio elettrico di questo agosto anomalo, si scopre che al vecchio Lotito si è sostituito il suo gemello ambizioso. Quello che complice l’anagrafe (per la leva calcistica della classe ’57, non gettare definitivamente la maschera può confinare con l’eterna attesa) ora punta in alto e non si accontenta più solo di esistere.
Lo stesso che a un passo dagli istanti decisivi per l’elezione in Figc concede al Lotito di ieri il folklore delle risse sfiorate con gli avversari ideologici (ultime segnalazioni in tema, Damiano Tommasi e Renzo Ulivieri), ma in realtà vorrebbe essere già altrove. Lontano dagli impedimenti inattesi e anche dai tifosi (la vasta parte di popolo laziale che lo avversa da sempre e che da gennaio diserta lo stadio) e i pochi che in passato, con poco tatto, tra una testa d’agnello sulla macchina e una telefonata minatoria, costrinsero il nostro sotto scorta.
carlo tavecchio giancarlo abete
Con Tavecchio (dopo aver lottato e vinto in prima persona per confermare Maurizio Beretta alla Predidenza della Lega Calcio) Lotito aveva compiuto il suo capolavoro. Far eleggere in pieno apogeo neorampantista un settantunenne con più di qualche guaio in tribunale. Per piegare le resistenze ideologiche e i distinguo di giovani e vecchi, i cinque telefonini di Lotito avevano lavorato a ritmi fordisti. Dopo incessanti conciliaboli , patti inconfessabili e promesse pari a cambiali da scontare, l’asse Galliani-Lotito aveva messo in netta minoranza la strana coppia formata da Juventus e Roma e si preparava a festeggiare in balera.
L’ultimo microfono, proprio a un passo dalla fine del concerto, ha emesso la nota sbagliata. E anche se a detta di Tavecchio “Optì Pobà” giocava nella Lazio, non è sicuro che della sua partità si udirà il fischio di inizio. La spaventosa scivolata dialettica di Tavecchio e l’ancor più straziante curriculum da frate comboniano chei suoi sostenitori, a iniziare da Lotito, si sono affrettati a edificare con notevole approssimazione a indignazione collettiva ancora viva: “Tavecchio è un perseguitato, mi sono informato, ha aperto due ospedali in Togo, ha adottato due o tre bambini”, ha fatto precipitare i nostri eroi del calcio nazionale in una regione al confine con le fantasie di Ettore Scola.
tavecchio bananacarlo tavecchio
Farsa, tragedia e soprattutto commedia. Tra ventiquattr’ore, abbigliati di scomodi panni simili a quelli indossati da Bernard Blier e Alberto Sordi alle prese con il mito del buon selvaggio, Claudio Lotito e Carlo Tavecchio (che aggredito dall’ansia, ha trovato qualche minuto per paragonarsi a Kennedy) entreranno nella fossa dei leoni. Se riusciranno a ritrovare nessi e ragioni dell’azzardo iniziale non è dato sapere.
La fronda soffia, Tavecchio è in confusione, Lotito rimane solido sul ponte con la scialuppa di salvataggio a portata di mano. Dovesse mettersi male, assecondando la generosa applicazione del primo comma di ogni originale editto lotitiano: la negazione della realtà e il suo necessario ribaltamento per i correnti bisogni, lo vedremo scomparire al largo. Se la presa della Bastiglia dovesse invece riuscire, ci vorrà proprio una statua e all’ingresso di Via Allegri, vedremo operai sudare a pieno regime. “Quando ce vò, ce vò”.
andrea agnelli foto mezzelani gmt claudio lotito e carlo tavecchio
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