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Monica Scozzafava per corriere.it - Estratti
Juan Jesus ha reagito alla sentenza della Procura federale con un messaggio silenzioso ma carico di significato. Ha cambiato la foto del suo profilo Instagram mettendo un pugno chiuso: simbolo universale di resistenza civile, soprattutto contro atti di razzismo. È il simbolo del Black Power, il movimento nato in Usa negli Anni Sessanta per difendere i diritti civili degli Afro-Americani. Diventò ancor più celebre quando Tommie Smith e John Carlos lo mostrarono in mondovisione sul podio di Città del Messico alle Olimpiadi del 1968, durante l’esecuzione dell’inno statunitense.
Il Napoli che in questa vicenda, per volere dello stesso giocatore, si era tenuto distante, non ha potuto fare a meno di commentare la sentenza (...)
«Il signor Acerbi non è stato sanzionato» comincia così il comunicato del Napoli, che entra nel merito e soprattutto stabilisce che in virtù di questa decisione della procura federale «non aderirà più a iniziative di mera facciata delle istituzioni calcistiche contro il razzismo e le discriminazioni, continueremo a farle da soli, come abbiamo sempre fatto, con rinnovata convinzione e determinazione».
Ecco poi il cuore del disappunto del club partenopeo: «A questo punto il colpevole dovrebbe, per la “giustizia” sportiva, essere Juan Jesus, che avrebbe accusato un collega ingiustamente. Non è ragionevole pensare che abbia capito male. Il principio di maggiore probabilità di un evento, ampiamente visibile dalla dinamica dei fatti e dalle sue scuse in campo, che nella giustizia sportiva è preso in considerazione, scompare in questa sentenza. Restiamo basiti.
Inoltre, se quanto accaduto in campo, lo dice la sentenza, “è sicuramente compatibile con l’espressione di offese rivolte...dal calciatore interista, e non disconosciute nel loro tenore offensivo e minaccioso dal medesimo”, perché non irrogare a quest’ultimo alcuna sanzione? Perché, poi, lo dice sempre la sentenza, “essendo raggiunta sicuramente la prova dell’offesa”, nessuna decisione è stata assunta dalla “giustizia” sportiva al riguardo per punire il responsabile? Restiamo ancor più basiti».
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