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Francesco Persili per “Dagospia”
Non dite a Renzi che in mille giorni si possono fare tante cose. Passo dopo passo, o meglio partido a partido, partita dopo partita, Simeone è diventato il leader maximo di una rivoluzione calcistica che ha cambiato il destino dell’Atletico Madrid e del calcio spagnolo. Il demiurgo di una terza via pallonara che nella Liga ha spezzato il duopolio Real-Barcellona.
«Siamo la squadra del popolo, come il Napoli di Maradona», ha detto il tecnico al quotidiano argentino Clarin. Se c’è un protagonista assoluto nel risorgimento sportivo dell’Atletico quello ha la faccia da indio, il total black e il capello ingellato del Cholo.
«Quando la vita ci lancia delle sfide l’essere umano risponde sempre perché nelle difficoltà si diventa migliori». È un combattente nato, Simeone. Mille giorni e 5 titoli sulla panchina del club rojiblanco, una vita in direzione ostinata e contraria. «Il meglio di me esce quando le cose vanno male».
E le cose non andavano affatto bene quel 29 dicembre 2011 quando lo chiamarono in riva al Manzanarre per sostituire sulla panchina dei colchoneros l’esonerato Manzano: «Il mio arrivo coincise con un momento negativo della società. Ma a me piace arrivare quando le circostanze sono difficili».
Ricordare per credere. Sbarcò in Italia (grazie a quel genio di Romeo Anconetani) un giorno torrido d’estate con un cappotto pesantissimo da inverno argentino e poche parole scritte su un foglietto di carta. Nessuno dopo quell’anno a Pisa sarebbe stato disposto a scommettere su di lui. Eppure il Cholo (nomignolo che si porta dietro dai pulcini del Vélez) diventa il condottiero dell’Atleti che trionfa nella Liga del ’96, vince una Coppa Uefa con l’Inter e uno storico scudetto con la Lazio.
A Torino contro la Juve il gol della svolta che dà inizio alla rimonta della squadra di Eriksson chi lo segna? Simeone. Da allenatore, la musica non cambia. Viene silurato dal Racing Avellaneda e poi conquista un campionato pazzesco con l’Estudiantes. Sempre in rimonta. Salva il Catania («lì ho dato il meglio come allenatore») e se ne torna in Argentina prima di approdare, di nuovo, all’Atletico Madrid.
«Vai a giocare contro Messi e Cristiano Ronaldo ma se vinci non torni più?», gli chiede il figlio. Simeone supera anche gli ostacoli del cuore e si ripresenta al Vicente Calderon, nel posto che da calciatore non avrebbe mai voluto lasciare. Dove eravamo rimasti? In campo o in panchina, sempre con lo stesso spirito ribelle. Da lottatore indomito. Prende una squadra a metà classifica, dannata alla mediocritas neanche tanto aurea, e la ribalta. «Esempi a cui ispirarsi? Franco Baresi e il centrocampista del Barcellona Busquets che gioca sempre la partita di cui ha bisogno la squadra».
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Nella prima partita contro il Malaga lascia fuori Arda Turan e Adrian ché «non contano i nomi ma l’impegno. E “sforzo” viene prima di “successo” anche sul dizionario», come ricorda anche nel suo libro “El Cholo-Il mio metodo per vincere” (edito da Mondadori).
Il tecnico argentino forgia una squadra di “cholitos”, operosa e solidale, agguerrita in difesa e in grado di esaltare prima Falcao e poi Diego Costa. Per l’ex allenatore-dirigente del Real Madrid, Valdano, ora scrittore raffinatissimo di cose pallonare, Simeone è riuscito a fare in modo che ogni giocatore raggiungesse il massimo del suo rendimento: «Il suo gioco è poco attraente ma ha cambiato la mentalità della squadra e dei tifosi».
La vittoria dell’Europa League è l’ouverture di una stagione di trionfi: la Supercoppa Europea, una coppa e una Supercoppa di Spagna e, lo scorso anno, il vero capolavoro del Cholo, la conquista della Liga e la finale di Champions persa solo ai supplementari.
«Mille giorni? Non me ne sono reso conto. Ho lo stesso entusiasmo e la stessa motivazione dell’inizio. Che impresa battere Real e Barcellona. Altri mille giorni così? Dovremo lavorare il doppio».
Diego Costa, «il trascinatore che rappresenta le caratteristiche storiche del calciatore dell’Atletico», e il portiere Courtois sono volati al Chelsea ma l’Atletico non ha smarrito le buone abitudini in Liga (due vittorie e un pareggio) e nel derby contro il Real battuto due volte (una in supercoppa e una in campionato).
Esordio da incubo, invece, in Champions con la sconfitta contro l’Olympiakos. «La mia sfida immediata è ricostruire un gruppo nuovo», ha ruggito il tecnico argentino convinto che «quest’anno sarà più divertente di quello passato».
Simeone in questi due anni e mezzo non ha cambiato il suo modo di vedere il calcio: «Vincere è uno stile di vita. Se si crede e si lavora, si può». E non c’è mai situazione avversa che non si possa capovolgere. Mille giorni posson bastare per capire che, almeno nel calcio, non vincono sempre i buoni ma chi sa lottare.
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