
DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI…
Fulvio Abbate per il “Fatto quotidiano”
Premio Guido Carli Franca Leosini col marito
Di Franca Leosini, tornata nei giorni scorsi con le sue proverbiali Storie Maledette, lei che di Raitre, da sempre, è una cuspide degli ascolti, abbiamo più volte detto ogni bene, sia riferendoci al suo talento ipnotico sia segnalandone il tratto da monotipo, pezzo unico mediatico, e forse dipenderà anche da questa sua altrove irriproducibilità (tu ce la vedi a Mediaset?) se Franca, sempre nel tempo, è diventata un’autentica diva di prima grandezza giornalistica e narrativa, con quel suo modo unico di incedere che va assai oltre lo stesso specifico criminale che la fa brillare nei palinsesti.
Dimenticavo, personalmente memore della sua intervista a Pino Pelosi, l’assassino di Pasolini, nella prospettiva dell’imminente anniversario tondo della morte dello scrittore, sento di poter aggiungere che soltanto da lei ci farà piacere sentire buone nuove processuali, se davvero ci sono, sul caso dell’Idroscalo, quanto invece agli altri, ci torna in mente l’uso strumentale che della memoria di PPP hanno fatto in funzione “elettorale” i molti Veltroni del mondo.
Il delitto, suggerisce Franca Leosini, “non è mai una storia individuale, ma l’espressione estrema del malessere profondo, del disagio, dell’inquietudine, della solitudine morale, che a diversi livelli attraversa la società”, questo per dire che Storie Maledette prova a raccontare ogni cosa muovendo dal dubbio.
La storia di Stefania Albertani è in questo senso paradigmatica: ventisei anni nel 2009, i giorni del delitto, famiglia di imprenditori del comasco, ha ucciso la sorella e ne ha incendiato il corpo; ha poi strangolato la madre che, salvata in extremis, Stefania era in procinto di dare alle fiamme a sua volta. Condannata a venti anni di reclusione più tre di Ospedale Psichiatrico Giudiziario, Stefania Albertani in questo momento sta scontando la pena presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere.
Al processo, la Albertani si è rifiutata di parlare, meglio, non ha mai motivato il suo gesto, ha dichiarato di “non ricordare”, di non sapere il perché dei delitti commessi, la loro modalità, il movente stesso. A Franca Leosini, misteri del talento e forse della pervasività mediatica, ha invece raccontato ogni dettaglio.
L’avventura processuale in questione custodisce un caso unico: per la prima volta, in Italia, in un procedimento giudiziario, entrano, con peso determinante per la definizione della pena, le neuroscienze. Ossia quelle tecniche di accertamento che consentono di studiare aree del cervello che regolano funzioni specifiche del comportamento: nel caso di Stefania Albertani le aree cerebrali che sembrano regolare gli istinti aggressivi e, per estensione, riferite al gesto criminoso.
Questa storia, fatto salvo il contesto storico e culturale mutato, pur senza possedere il medesimo riverbero simbolico di quella della francese Violette Nozière che negli anni Trenta ebbe un notevole riverbero mediatico suggerendo perfino un film a Claude Chabrol, custodisce comunque uno spunto esemplare sul nostro attuale esistente.
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