DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giorgio Gandola per la Verità
«Sospiri chi?». Difficile non porsi la domanda, se non si è fanatici delle corse, davanti a quella dichiarazione di Michael Schumacher che campeggia nel suo sito, rilanciata dalla moglie Corinna nei giorni scorsi per riattizzare la speranza, per immaginare il suo ragazzo davanti al bosco dei microfoni come ai tempi d' oro. L' intervista all' uomo che per sette volte vinse il mondiale risale all' ottobre del 2013, due mesi prima dell' incidente, e ha la forza di un testamento sportivo. C' era il forziere del passato dentro cui rovistare e c' erano due domande decisive da porre. Chi è stato il tuo avversario più forte? Risposta non scontata di Schumi: «Quello che ho stimato di più è Mika Hakkinen». E chi il pilota più veloce che hai incontrato in pista?
Risposta dadaista di Schumi: «Sono stati due, Ayrton Senna e Vincenzo Sospiri».
Shock del lettore comune, tuffo immediato su Wikipedia, ricerca della storia di un uomo che si presume folle e ruggente non solo per avere dato la paga a Schumacher, ma per essere stato messo lì nella foto ricordo di fianco all' icona assoluta della velocità. Nato a Forlì, 52 anni, troppo poco. Titolare di una squadra corse che miete vittorie e lancia giovani piloti con gli attributi, ancora troppo poco. Il resto meglio lasciarlo a lui, allo Sconosciuto Volante.
Vincenzo Sospiri, lo sa di essere stato più veloce di Schumacher, più o meno pari a Senna?
«Sì, non era la prima volta che Michael lo riconosceva.
Lo aveva detto anche qualche anno prima. Gli chiesero chi fosse il suo idolo in pista e lui fece il mio nome. Riteneva che fosse impossibile battermi».
Ma quando mai?
«Per esempio nei kart, ricordo duelli pazzeschi, ci siamo anche speronati. La spuntavo quasi sempre io. Poi anche in Formula Ford e in Formula 3. C' era grande rispetto, si correva sempre al limite.
Ma c' era anche una differenza poi risultata decisiva: lui aveva dietro la Mercedes, io no».
Qual è il ricordo che riserva per i nipoti?
«Il Formula Ford Festival a Brands Hatch nel 1988, la finale stagionale con 178 macchine iscritte: qualifiche, eliminazioni e finale a 16, un po' come il Masters nel tennis.
Era la prova del fuoco di un' intera generazione. L' anno prima aveva vinto Eddie Irvine.
Alla partenza c' erano anche Mika Hakkinen, David Coulthard, Mika Salo, gente che avrebbe fatto la differenza in Formula Uno. Li ho battuti tutti».
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E Schumacher?
«Non entrò in finale, mi guardò vincere».
Torniamo al kart e alle speronate. Mai avuto discussioni?
«Ma no, il kart è bellissimo ed è vietato lasciar sorpassare, però senza cattiveria. Lì prendi lo stile che ti porti sulle macchine da corsa. Vinsi un Europeo e un Mondiale. Una volta partii ultimo e arrivai quarto dopo una rimonta assurda, non c' era più tempo per attaccare Schumacher.
Vinse lui, ma lo spaventai».
Cosa aveva di speciale Sospiri per impressionare un gigante come Schumi?
«La risposta che mi inorgoglisce di più la diede Alex Zanardi. In un' intervista disse che non mi sfuggiva niente e avevo sempre la gara sotto controllo. Sangue freddo e cuore caldo. Ho un poster celebrativo con le foto e una frase per tutti i piloti che hanno corso per la Dap di Achille Angelo Parrilla, un mito del kart».
Accanto al suo nome cosa c' è scritto?
«Fast as usual, veloce come al solito. Lo davano per scontato».
E gli altri chi erano?
«Aspetti che vado in officina a prenderlo, perché la memoria comincia a fare le bizze. Ecco: Stefano Modena, tortellino incredibilmente veloce; Terry Fullerton, l' irlandese di ghiaccio; Ayrton Senna, semplicemente il migliore. Ma lui era un marziano».
Con quella testa e quel piede perché non ha sfondato in Formula Uno?
«I treni passano, devi prenderli in corsa. Nel 1995 ho vinto la Formula 3000 con una Reynard Ford, stavo per firmare con la Ligier Honda, i giapponesi erano contenti.
Poi arrivò Pedro Paulo Diniz con otto milioni di dollari di dote e sono rimasto a piedi.
Ma non è finita».
Un altro treno più veloce di lei?
«Nel 1997 firmo con la Lola un contratto di quattro anni in Formula Uno. Prima gara in Australia non ci qualifichiamo, secondo gran premio in Brasile la MasterCard ritira la sponsorizzazione e la scuderia chiude. Un uomo fortunato».
La morale di tutto questo?
«Semplice, devi avere attorno gente che ti appoggi economicamente in modo pesante. E poi una dannata fortuna».
Meglio fare il manager sportivo?
«Ho corso e ho vinto mondiali con i prototipi, ho fatto la 24 Ore di Le Mans con la Ferrari, sono partito in prima fila alla 500 miglia di Indianapolis, in America mi hanno definito Rookie dell' Anno nel 1997. Uno dei motivi per i quali ho smesso è stata l' astinenza da Formula Uno. Da nessun' altra parte trovi gli stessi stimoli, lo stesso fascino, la stessa adrenalina. E io l' ho vista solo dal buco della serratura».
Adesso guida la Vincenzo Sospiri Racing, vince mondiali e scopre talenti.
«Da qui sono usciti Robert Kubica, Jerome D' Ambrosio, Takuma Sato, Vitalj Petrov; un po' di occhio ce l' ho. Il più forte di tutti però deve ancora esplodere».
Chi sarebbe?
«Antonio Giovinazzi, che correrà con la Sauber, l' anticamera della Ferrari. È un fenomeno, ha velocità innata e freddezza, un racer, va solo lasciato maturare. È l' italiano più forte che abbia mai visto».
Più di Michele Alboreto e Ivan Capelli?
«Ogni epoca ha i suoi campioni, non facciamo confusione. Oggi bisogna fare i conti con la tecnologia, con l' elettronica, è un altro guidare. Ai miei tempi il pilota contava di più. Alain Prost, Nigel Mansell, prima Niki Lauda. Gente speciale».
E Ayrton Senna?
«Sempre oltre l' immaginabile. Soprattutto un uomo. Nel senso che sapeva uscire dal personaggio e stare a tavola con te come una persona normale. Un signore».
Ha qualche rimpianto mentre si volta a guardare quel passato?
«No, sono felice di ciò che ho fatto. Quelle che le ho raccontato sono normali sfortune della vita. Da ventenne scapestrato pensavo di morire a 380 all' ora, non un chilometro di meno. Meglio così».
Le resta il complimentone di Schumacher.
«Lo ringrazierò sempre, prego per lui e per la sua famiglia. Ma quel complimento poteva farmelo nel 1996 quando ero collaudatore alla Benetton proprio con lui. Forse avrebbe convinto Flavio Briatore a darmi un posto in squadra. Non gli conveniva, si è ricordato dopo».
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