
DAGOREPORT - CICLONE WANG SUL FESTIVAL DI RAVELLO! - PERCHÉ NEGARLO? E' COME VEDERE GIORGIA MELONI…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Le notizie da Boston rituffano la Roma nel suo brodo primordiale, l’acqua pazza. Di stabile a Trigoria c’è solo, forse, il cancello all’entrata. Un presidente sempre più lontano e forse ora anche evasivo e una squadra che non c’è più. Semplicemente. Evaporata e greve, come i suoi passi, come la sua testa, come il suo culo di pietra. Testa, gambe, culo, anima, fate voi, di che frattaglia si tratta, la realtà è questa. Sembrano quasi tutti grassi e pesanti, anche quando sono magri. Il ritorno a casa del Prodigo aveva acceso speranze. Tutti sono pronti a farsi affascinare dal domani.
“Questo sentimento popolare che nasce da meccaniche divine, un rapimento mistico e sensuale”, per dirla alla Battiato. Spalletti ha occupato Trigoria con i suoi uomini e le sue parole. Ha provato a esorcizzare alibi o debolezze. Ma la malattia è troppo più grave delle buone intenzioni.
Per farsi forza, ha persino provato a reinventare il suo “eccitante” 4-2-3-1, ma Naingoo, quel che resta di lui, non ha un’oncia della verticalità di Perrotta e Pjanic ha l’astenia cronica delle donzelle ottocentesche, senza avere nemmeno un quarto della sapienza calcistica e della vitalità del Divino Botolo, alias Pizarro. Aggiungi, anzi sottrai, Dzeko. Imbarazzo allo stato puro. Se non avessimo certezze inequivocabili del suo passato, ci spingeremmo a scrivere di un brocco totale.
Sbaglia tutto, ma proprio tutto, quattro occasioni enormi, e riesce a prendere un palo da due metri a porta vuota. Dopo averlo amato fino a negare l’evidenza, quel che resta dell’Olimpico lo ha fischiato, non potendone più. La nota più malinconica e quasi irraccontabile per quanto crudele arriva da Leo Castan. Aveva detto a Spalletti: “Fammi giocare, non te ne pentirai”.
Si è pentito, eccome. La goffaggine del rigore è stata l’ultima di una lunga serie. Questo non è Castan, ma non è nemmeno un giocatore di calcio. Altro non possiamo e non riusciamo a dire. E Pazzini alla Roma segna sempre. Miracolato anche il Verona di Delneri. Tutto dire.
E mentre la Roma resta sotto le coperte, la Juventus vola anche negli stadi altrui, il bellissimo “Dacia” di Udine. Partita chiusa nel primo tempo, decima vittoria consecutiva e Dybala sempre più in sintonia con la sua missione, diventare uno die primi dieci del pianeta. Non vedo come la squadra di Allegri possa mancare questo campionato. Non ci credevo. Ho preso un granchio, banalmente fuorviato dalla logica dei vuoti e dei pieni, la macchina fisiologica degli appetiti e della vita. Ma la Juventus è storia a parte. La parola “sazietà” non esiste nel suo lessico familiare.
E poi una squadra da segnalare. Il Carpi che ha ritrovato il suo passato. E un nome, per l’imbufalito Conte di questi tempi. Leonardo Pavoletti. Due gol anche al Palermo, il secondo da paura.
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