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È L’ORA DI PRENDERE SUL SERIO L’AFRICA, ALMENO NELL’ARTE – LA TATE MODERN DI LONDRA DEDICA UNA GRANDE MOSTRA ALL’ARTE NIGERIANA, DAGLI ANNI ’40 DEL NOVECENTO A OGGI – ANTONIO RIELLO: “NEL COMPETITIVO MERCATO DELL’ARTE, DA ANNI GLI ARTISTI AFRICANI (NON SOLO NIGERIANI) SI STANNO RICAVANDO UN POSTO IMPORTANTE. IL TEMA DOMINANTE È CHE PER LUNGO TEMPO GLI ELEMENTI AUTOCTONI HANNO CERCATO DI INTEGRARSI NEL SISTEMA DEI LINGUAGGI DELLA AVANGUARDIE STORICHE. OGGI SONO QUESTI STESSI STILEMI LOCALI CHE PLASMANO I CODICI INTERNAZIONALI DELL’ARTE”
Antonio Riello per Dagospia
benedict enwonwu the dancer 1962
La Nigeria, fino al 1960 una colonia britannica, è il paese più popoloso del continente africano (circa 230 milioni di abitanti). Si tende ad associarla troppo sbrigativamente a povertà e emigrazione ma, pur in presenza di grandi sperequazioni economiche, è la più importante economia africana. Con indici di sviluppo a due cifre.
Esiste una classe borghese che sa anche esprimere un certo numero di imprenditori di assoluto rilievo internazionale. Le espressioni più note della sua dimensione culturale sono la musica Afrobeat e il cosiddetto “Nollywood” (che sforna film a profusione, altro che Hollywood!).
Ma c’è anche una tradizione, assolutamente non trascurabile, di Arti Visive. E la Tate Modern di Londra finalmente se ne occupa. Lo fa con una magnifica mostra sull’Arte della Nigeria, a partire dagli anni 40 del Novecento fino ai nostri giorni. Jackie Wullschläger sulle colonne del Financial Time la definisce come una delle mostre più riuscite della Tate.
Sono più di 50 gli artisti coinvolti. Il nome più importante di quell’epoca è lo scultore Ben Enwonwu, (1917-1994) che aveva studiato alla Slade di Londra.
Può vantare una produzione molto vasta, tra cui un busto della Regina Elisabetta (è conservato a Buckingham Palace, quando fu consegnato nel 1957 qualcuno a Corte si lamentò della fattezze - “un po’ troppo africane” - della Regina) e una serie di sette sculture in legno che sono nella sala a lui dedicata.
C’è tutta la forza della famosa scultura in bronzo del Benin nelle sue opere. Le sette magnifiche statue erano in origine state commissionate dal quotidiano londinese Daily Mirror nel 1960.
Altra figura di spicco è la bravissima scultrice di ceramica Ladi Kwali (1925-1984), lo stile chiamato Gwarri fu inventato da lei. E’ evidente che l’influenza britannica in termini di formazione artistica è stata dirimente
Lagos è la città più importante (anche se non è la capitale) e fin dagli anni ’60 ha ospitato attive associazioni artistiche. La più conosciuta è “The Zaria Arts Society” che cercò di fondere l’eredità indigena con le influenze del modernismo internazionale. Ne facevano parte: Clara Etso Ugbodaga-Ngu, Urche Okeke, Demas Nkoko, Akenola Lasekan, Yusuf Grillo, Brune Onobrakpeya e Jimo Akolo.
Yusuf Grillo (1934-2021) fece sua, in versione locale, l’esperienza del Cubismo, cosa che gli procurò il soprannome di “Picasso Africano”. Il leggendario “The Mbari Artists’ and Wrietres’ Club” era invece più focalizzato sulla musica e la letteratura. Fondato da Illi Beier, fu il ritrovo creativo delle notti di Lagos.
Negli anni d’oro pubblicava una rivista dal nome “Black Orpheus”. Tra i frequentatori Chinua Achebe, Wole Soyinka e Malangatana Ngwenya. La Tate dedica ampio spazio alla vita intellettuale di Lagos in quel periodo.
Verso la fine degli anni ’50 Susanne Wenger (di origine austriaca) nell’area degli Yoruba invece diede il via ad un movimento artistico noto come “New Sacred Art Movement” con relativa scuola (la Oshogbo Art School).
La fonte di ispirazione era la radicata tradizione panteistica che esisteva nella zona. Ogni albero e ogni piccolo corso d’acqua aveva lo status di una divinità: la Natura come oggetto di devozione creativa. In anticipo sui tempi. Gli autori piu’ significativi del gruppo: Nike Davies-Okundaye, Jacob Afolabi, Twins Seven Seven.
Il trauma della guerra di secessione del Biafra del 1967 ha ridefinito l’Arte nigeriana in modo molto netto. Societa’ e Identita’ sono diventati elementi importanti e hanno lentamente sostituito la cultura postcoloniale. In questo stesso periodo inizia anche la presenza femminile con Obiora Udechukwu, Tayo Adenaike e Ndidi Dike.
Un’altra figura storica è Uzo Egonu, pittore e disegnatore di vaglia. Il temo dominate della sua ricerca è la diaspora degli intellettuali africani che (chi per necessità, chi per scelta) hanno deciso di vivere in Europa.
Come ponte verso il futuro ci sono delle opere della bravissima Okhai Ojeikere del più noto El Anatsui. I suoi interventi di grandi dimensioni che riciclano materiale di scarto sono ormai epici, lo si e’ visto in azione in varie biennali (compresa quella di Venezia) e alla Tate Modern (nel 2023).
Nel competitivo mercato dell’Arte - ormai da diversi anni - gli artisti africani (non solo nigeriani) si stanno ricavando un posto davvero importante. Questa mostra, curata da Osei Bonsu e Bilal Akkouche, indaga molti aspetti della storia di questo meritato successo.
Il tema dominante e’ che per lungo tempo gli elementi autoctoni hanno cercato di integrarsi nel sistema - abbastanza codificato - dei linguaggi della Avanguardie Storiche (importati dai colonizzatori). Oggi sono questi stessi stilemi locali che plasmano (e modificano) con autorevolezza i codici internazionali dell’Arte. Si sta lavorando al progetto di una Fiera d’Arte (sul genere Frieze) situata a Lagos.
Anche il catalogo dell’esposizione, molto esaustivo, aiuta ad identificare parecchi luoghi comuni che continuiamo ad associare (sbagliando) all’intero continente africano.
NIGERIAN MODERNISM
Tate Modern
Bankside, Londra SE1 9TG
fino al 10 Maggio 2026
okhai ojeikere 02
Country Riello
nigerian modernism catalogo
ben enwonwu 01
tate modern
magazine
el anatsui
oshogbo art school 03
oshogbo art school 01
urche okeke
akenola lasekan
ladi kwali
jd okhai ojeikere untitled
obiura udeohokwu
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