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Enrico Franceschini per “la Repubblica”
“Non sopporto le persone che non prendono il cibo seriamente". Quando pronunciò queste parole, come al solito Oscar Wilde polemizzava con le masse: la gastronomia, ai suoi tempi, non era fra le priorità degli inglesi. Nella seconda metà dell' Ottocento, all' apice dell' Impero britannico, i sudditi di Sua Maestà ritenevano che la buona cucina fosse un vizio da popoli rammolliti, come gli italiani ("macaroni") o i francesi ("mangiarane").
Loro si nutrivano per vivere, considerando sbagliato il contrario. C' erano poche eccezioni, tra cui la famiglia reale e i club dell' alta società frequentati dall' autore di Il ritratto di Dorian Gray. Il quale non avrebbe mai immaginato che l' arte culinaria sarebbe diventata l' ossessione dei suoi discendenti.
Oggi a Londra ci sono i migliori ristoranti del mondo, impazzano i corsi di cucina, le librerie scoppiano di ricettari, ogni giornale ha un inserto sull' argomento, in televisione si fanno reality show per il cuoco o il pasticciere dell' anno. Mancava una grande mostra dedicata al tema. Sta per arrivare anche questa.
Si intitola Food: bigger than the plate (Cibo: più grande del piatto) la rassegna che apre il 18 maggio al Victoria & Albert Museum: un invito ad assaggiare e dibattere ogni aspetto del ciclo alimentare.
«Il cibo è il materiale più importante del pianeta, uno degli strumenti attraverso cui modelliamo la società in cui viviamo, creiamo la cultura e il piacere, determiniamo il nostro rapporto con la natura », afferma la curatrice May Rosenthal Sloan. « In un' epoca di grandi sfide ecologiche e di rapida evoluzione tecnologica, la mostra chiede non solo cosa mangeremo domani, ma che tipo di cibo vogliamo? Che aspetto potrebbe avere? Quale sapore?».
Suddivisa in quattro sezioni, " Compost" (Concime), "Farming" (Agricoltura), "Trading" (Commercio) e "Eating" ( Mangiare), l' esibizione esplora in che modo individui, comunità e organizzazioni innovative stanno reinventando radicalmente il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo il cibo, ponendo domande su come le scelte collettive possano portare a un futuro alimentare più sostenibile, corretto e saporito.
Un padiglione presenta il pionieristico sistema Daily Dump per il compostaggio domestico in India, che utilizza vasi in terracotta fatti a mano per sfidare lo stigma di gestione dei rifiuti. Un altro illustra come il designer Fernando Laposse lavori con le bucce scartate di diverse varietà di mais per creare un nuovo materiale intarsiato, Totomoxtle, che supporta la biodiversità agricola.
L' installazione di GroCycle Urban Mushroom Farm analizza l' idea di un' economia circolare, utilizzando fondi di caffè per coltivare funghi commestibili. Quanto al piacere di cucinare e mangiare, sarà esaminato attraverso progetti di chef come Ferran Adrià e artisti come Michael Rakowitz e Lubaina Himid.
La mostra prende in considerazione il ruolo della tavola, le sfide che affrontiamo nel nutrire la popolazione mondiale e il potere delle prelibatezze, oltre a guardare a progetti, ingredienti e ricette che spingono i limiti dell' ingegno umano in cucina. Gli esempi includono "The sausage of the future" di Carolien Niebling: una fantascientifica salsiccia.
E bisogna dire che, fra tutti i musei di Londra, il Victoria & Albert era quello giusto per ospitare un' iniziativa simile: costruito sul sito di un famoso vivaio, 150 anni fa ha ospitato il primo museo del cibo. All' epoca in cui Oscar Wilde ammoniva: "Dopo una buona cena, si può perdonare chiunque. Perfino i propri parenti".
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