ameri ciotti

"SCUSA AMERI, SONO CIOTTI" - I 60 ANNI DI "TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO" ATTRAVERSO IL DUALISMO ALLA BARTALI-COPPI TRA I DUE - AMERI ERA RITMO, PATHOS, FU SUA LA PRIMA, STORICA IRRUZIONE SULLA VOCE DI UN COLLEGA. CIOTTI, NIPOTE DI TRILUSSA, ERA LA VOCE (SOPRANNOME: CATARRO ARMATO), LA COMPETENZA, LO STILE: “A BARI LA GIORNATA È LANGUIDA COME GLI OCCHI DI ORNELLA MUTI”. DI FRONTE AGLI ERRORI DEL DIRETTORE DI GARA LO BELLO: “HA ARBITRATO DI FRONTE A 60 MILA TESTIMONI” - VIDEO

RICCARDO CUCCHI

https://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/radiogol-dall-39-inimitabile-ciotti-notte-berlino-riccardo-183518.htm

 

SCUSA AMERI, GRAZIE CIOTTI

Gigi Garanzini per la Stampa

 

ameri ciotti

C' erano alle viste le Olimpiadi romane a cavallo di quel Capodanno, sessant' anni fa. Così la Rai radiotelevisione italiana, nelle (belle) persone di Sergio Zavoli, Guglielmo Moretti, Roberto Bortoluzzi cominciò a porsi il problema della copertura radiofonica dell' evento. Studiando il modo di conciliare contemporaneità e tempestività attraverso il rimbalzo di linea da una disciplina all' altra: e decidendo di sperimentarne da subito la fattibilità con il campionato di calcio.

 

Così, domenica 10 gennaio 1960, otto giorni dopo la morte di Fausto Coppi, andò in onda la prima puntata di Tutto il calcio minuto per minuto: con Nicolò Carosio a San Siro per Milan-Juventus, Enrico Ameri a Bologna per Bologna-Napoli e Andrea Boscione ad Alessandria per Alessandria-Padova, con Gianni Rivera in maglia grigia e Paròn Rocco sull' altra panchina. In studio ad aggiornare i risultati dagli altri campi la stupenda voce di Roberto Bortoluzzi, che avrebbe diretto il traffico, pugno di ferro in guanto di velluto, da lì alla pensione, nel giugno dell' 87.

CALCIO TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO CIOTTI

 

Solo i secondi tempi Per un bel po' di anni la sarabanda si limitò, chissà perché, a coprire i soli secondi tempi. Ma quell' oretta di adrenalina bastò a cambiare le domeniche degli italiani. Che per un po' a metà pomeriggio smisero di uscire.

 

E ripresero a farlo poco alla volta solo a patto di essere dotati di transistor, e di poter circolare per viali, parchi e giardini con la loro brava radiolina - i primi tempi mica tanto ina - all' orecchio.

Levandola al cielo quando a segnare era stata la squadra giusta, e con la tentazione di scagliarla lontano quando era toccato all' altra.

 

Senza contare le apnee, ogni volta che sul campo collegato si inseriva il rumore di fondo, o il boato, di un altro. Chi aveva fatto gol? E dove? Quel paio di secondi d' attesa per riconoscere la voce del radiocronista erano adrenalina pura, altro che le dirette-gol televisive di oggi dove l' immagine risolve subito il mistero. Sino a che a dare il cosiddetto segnale di chiusura non arrivava la Stock di Trieste: se la squadra del vostro cuore ha vinto, brindate con, se ha perso, consolatevi con. Nel più puro stile democristiano dell' epoca.

 

Poi, poco alla volta, i campi collegati crebbero di numero. E venne il tempo delle gerarchie e delle formazioni tipo della squadra dei radiocronisti. Ci furono per un po' Nando Martellini, Claudio Ferretti, non più Carosio tornato a fare il telecronista.

tutto il calcio minuto per minuto

Ma l' epoca d' oro fu quella di Enrico Ameri dal campo principale e di Sandro Ciotti dal secondo per importanza. Ameri era un lucchese che prima di diventare giornalista era stato maestro elementare: quando i bambini giocavano a pallone durante la ricreazione, lui faceva la radiocronaca imitando Carosio. Ciotti un romano de' Roma, nipote di Trilussa, che a pallone aveva giocato, e bene, da mediano nelle giovanili della Lazio.

 

La linea se la rimpallavano impeccabilmente, ma sempre per cognome. Un po' perché così usava allora, quando indossare la casacca Rai comportava innanzitutto il rispetto della forma. Un altro po' perché serviva a marcare la distanza. Non è vero che si odiassero: ma certo non si amavano. Ameri era Bartali, Ciotti sapeva di Coppi. Alla classe del secondo, più colto, più seducente, il primo rispondeva con la grinta, la tigna quando serviva, proprio come il vecchio Gino. Ciotti era la voce, per quanto roca, a volte chioccia, ispessita da non meno di tre pacchetti di americane al giorno, rigorosamente senza filtro. Soprannome, catarro armato. Perfetta la sintassi, la competenza, la proprietà di linguaggio: senza negarsi i voli pindarici del campo per destinazione, della ventilazione inapprezzabile.

ENRICO AMERI

 

Ameri era innanzitutto il ritmo. Non che la sua voce non fosse di prim' ordine, ma era quasi accessoria rispetto alle cadenze che riusciva a imprimere al racconto, e a mantenere senza flessioni. Un intervento di Sandro poteva sbalordire per la perfezione dialettica e insieme per la lievità. Uno di Enrico era pathos allo stato puro, che attraversava l' etere e ti sbalzava la pressione all' insù. Se li chiamo per nome, dopo quasi vent' anni che se ne sono andati è perché prima li ho amati da ascoltatore: poi li ho frequentati di persona. E tra i ricordi di tante trasferte all' estero, soprattutto azzurre, ci sono le partite a scopone nelle hall degli alberghi o in aeroporto: in cui facevo coppia con l' uno come con l' altro, l' importante era che per ragioni di ordine pubblico non giocassero insieme. Fu di Ameri la prima, storica irruzione sulla voce di un collega, un gol di Pedro Manfredini a San Siro il giorno di San Silvestro del '61. Di Ciotti la chiosa più perfida, alla fine di un Lazio-Milan 2-1 con gol di Chiarugi annullato per fuorigioco molto più che inesistente: «Ha arbitrato Lo Bello, davanti a 80 mila testimoni».

 

 

 

roberto bortoluzziRICCARDO CUCCHIRICCARDO CUCCHIbuffon mattarella riccardo cucchi