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UNITED STATES OF SOCCER - DOPO IL SUCCESSO MONDIALE DELLE RAGAZZE AMERICANE NEL PALLONE, FOLLA RECORD DI 93 MILA SPETTATORI A PASADENA PER LOS ANGELES-BARÇA (SENZA MESSI E NEYMAR)

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LOS ANGELES GALAXY BARCALOS ANGELES GALAXY BARCA

Vittorio Zucconi per “la Repubblica”

 

Con l’urlo dei 93mila e 226 tifosi pigiati nell’immenso e antico catino dello stadio Rose Bowl di Pasadena si è svegliato un gigante che dormiva negli Stati Uniti: il calcio. Mai, nel secolo e mezzo di fragile e ondivaga storia del soccer, la sorellastra trascurata della grande famiglia degli sport maggiori in Usa, tante persone avevano pagato tanti soldi per assistere a tanto poco:

 

una pura esibizione fra il Galaxy di Los Angeles già di Beckham e il Barcellona di Luis Enrique in versione “light”, senza Neymar, Mascherano, Bravo e soprattutto senza la venerabile “Pulga”, la divina pulce Messi. Un’assenza che ha prodotto, racconta il Los Angeles Times , lacrime di delusione, e striscioni lacerati, da parte di piccoli tifosi accorsi per vedere lui.

 

USA LOS ANGELES GALAXY BARCAUSA LOS ANGELES GALAXY BARCA

Il successo commerciale di un’amichevole estiva, finita con poco sudore e con il dignitoso insuccesso del team americano per 1-2 non segnalerebbe niente altro che il buon risultato di uno show all’aperto di mezza estate, favorito dall’assenza degli sport più seguiti, il football americano e il basket, se non fosse arrivato neppure un mese dopo un altro risultato che ha stupefatto l’America. Sono stati quei 27 milioni di telespettatori sintonizzati sulla finale mondiale fra le donne Usa e le Giapponesi.

 

SUAREZ BARCA LOS ANGELESSUAREZ BARCA LOS ANGELES

Un incontro che pure, dopo nemmeno un quarto d’ora, sembrava finito dopo con i 4 gol di vantaggio per le americane, più forti e più abili. 27 milioni per una partita di soccer, una espressione di origine britannica nata dall’abbreviazione di Association, la prima Lega calcio inglese, e 93mila nello stadio che già aveva visto il calvario ai rigori della stremata Nazionale di Sacchi nel ‘94, dicono, con la forza irresistibile del numeri e soprattutto dei dollari, che “The beautiful game”, lo sport che domina il mondo ma resta nelle cantine del castello nordamericano, può cominciare a insidiare il dominio commerciale del football, il numero uno, del basket universitario e professionistico, del baseball e, molti gradini più in basso, dell’hockey su ghiaccio.

 

E soprattutto mostrano, a un pubblico ancora largamente scettico, a schizzinosi commentatori che lo considerano come un sport da sissy , da signorine, da cascatori specializzati, da terzomondo, che finalmente l’iceberg chiamato “calcio” sta emergendo. E signorina, cara signora, sarà lei.

 

USA CALCIO FEMMINILEUSA CALCIO FEMMINILE

Il paradosso del Soccer USA è l’essere oggi lo sport più praticato fra i ragazzi e il meno seguito da quegli stessi ragazzi e ragazze quando diventano adulti. Ad ogni fine settimana, fra la primavera e l’autunno, è un’Armada di auto, suv, minivan, minibus quella che trasporta in giro i tre milioni e mezzo di giocatorini della Lega Giovanile, più altri imprecisati milioni di signori e signore di età più adulta che trascinano pancette, crampi, stiramenti, borsiti, calvizie e flaccide appendici per dare o prendere un’ultima pedata sui parastinchi. Soltanto attorno alla capitale Washington, funzionano più di 300 campi regolamentari, secondo le fasce di età, esclusi quelli appartenenti a scuole pubbliche e private e senza contare gli impianti indoor, con il condizionamento.

 

Club e leghe regionali, affiliate alla Federazione Nazionale, crescono di numero e di sofisticazione, spinte da un reclutamento incoraggiato dai genitori, soprattutto le ormai leggendarie Soccer Mom di sobborgo, che proibiscono ai figli di giocare al football, troppo violento e macchiato da storie angosciose di infortuni devastanti e di traumi cranici.

 

OBAMA GUARDA NAZIONALE USA MONDIALI BRASILEOBAMA GUARDA NAZIONALE USA MONDIALI BRASILE

La partecipazione al football, pur sovrano dell’audience tv, scende del 29 per cento all’anno e sembra essere sempre più circoscritto a quelle categorie sociali che vedono, come vedono nel basket, ciò che un tempo era in Europa la nobile arte della boxe per tanti poveri: una strada per uscire dai ghetti della miseria e della marginalità. Bambini e bambine già sotto i dieci anni sono organizzati in campionati secondo abilità, dai “Rec team”, che giocano per ricreazione, ai temuti e ambiti “Travel team”, i clubbini da trasferta con i quali i migliori sono sballottati in lungo e in largo fra città e paesi per campionati, playoff e finali che scatenano il tifo del parentado. 

 

Sulla Costa Atlantica, la più sensibile alle tradizioni degli immigrati europei, e in California, il maggiore stato di lingua spagnola degli Usa, il tonfo del pallone calciato, le urla dei parenti inviperiti contro l’arbitro, gli strilli acuti di signore che esortano il loro piccolo Bill a “scoooooore”, a segnare anche se il piccolo Bill gioca in porta, risuonano. Sempre più spesso in spagnolo, la lingua franca del soccer, giocato dai figli di quei latinos che tingono di carnagioni più colorite il generale pallore dei calciatori.

 

PIRLO SALUTAPIRLO SALUTA

Dove l’iceberg del “calcio giocato”, come vuole lo stereotipo, si assottiglia è nell’emersione dall’oceano di chi lo pratica all’isola di chi lo guarda. Le partite della MLS, dove pur non arrivano più solo i resti del calcio mondiale alla Pelè, ma atleti come Giovinco, Gerrard e ora Pirlo hanno una media di 20mila paganti, e meno di un milione per i sei canali che le trasmettono e inserzionisti ancora le snobbano. Il costo di uno spot di 30 secondi per la finale del basket universitario è stato di un milione e 700 mila dollari, per 28,3 milioni di spettatori. Con 23 milioni, alle World Series di baseball la finale costava 270mila dollari. Ma per raggiungere i 27 milioni della Coppa del Mondo femminile, gli inserzionisti hanno pagato soltanto 200mila dollari.

 

hope solohope solo

Molte volte, per rovesciare il celebre detto di Mark Twain, la notizia dell’affermazione del Soccer negli Usa è stata annunciata prematuramente, soltanto per creare delusioni. Il Mondiale del ’94 raccolse più spettatori negli stadi di ogni altro Mondiale precedente, ma l’onda si spense nella calma piatta del campionato nazionale. La sbalorditiva vittoria della squadra maschile contro i Master inglesi per 1-0 nel ‘50 e l’ancora più stupefacente trionfo sul Portogallo per 3-2 che permise agli Usa di raggiungere i quarti in Corea nel 2002 sono stati lampi, ma ancora di seconda fascia.

 

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Lo sa bene il ct Klinsmann, come lo sanno le donne vittoriose nel Mondiale, che l’America è viziata dal culto del “vincere è tutto” e i buoni piazzamenti, le vittorie morali, le nobili sconfitte non smuovono le masse paganti. Ma intanto giocano, in milioni, si divertono, si sobbarcano trasferte per sé e per gli adorati pargoli, incitandoli in venti lingue diverse e insegnando agli altri genitori come si manda a quel paese l’arbitro in spagnolo, italiano, mandarino, vietnamita, arabo, tedesco e nelle 600 lingue ufficiali riconosciute dal governo Indiano.

 

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Indiano nel senso dell’India, attenzione, perché le origini del gioco del calcio, nel continente nordamericano, pare siano Indiane nel senso dei nativi, di quei Pohwatan e degli Algonquin che, con squadre di almeno 100 per parte, si contendevano già cinque secoli or sono una sfera su un campo lungo un chilometro e largo mezzo. Lo chiamavano “Pasuckuakohowog”, nome commercialmente poco pratico, il gioco di chi colpisce la palla con i piedi, e vinceva chi alla fine aveva meno ossa rotte e restava con più giocatori in campo. Altro che sport per “signorine”.

 

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