LIVIN’ LA LIGA LOCA - DOPO L’ATLETICO MADRID IL VALENCIA DI ESPIRITO SANTO (E DI JORGE MENDES) MATA ANCHE IL REAL – FOLLIE PER “NONNO” TORRES: 45MILA TIFOSI COLCHONEROS AL CALDERON PER RIABBRACCIARE IL FIGLIOL PRODIGO: RIUSCIRÀ SIMEONE A FARLO TORNARE UN CAMPIONE?

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Francesco Persili per Dagospia

 

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Nel nome di Mou, Cristiano Ronaldo e dell’Espirito Santo (Nuno). Sempre più re del calcio mondiale, Jorge Mendes, già influente procuratore di calciatori (CR7) e allenatori (Mourinho), è il demiurgo del Valencia rivelazione della Liga. Si deve proprio all’agente portoghese la scelta di portare sulla panchina della squadra spagnola il suo pupillo Nuno Espiritu Santo che nel ’96 fu il suo primo assistito e oggi viene celebrato come “l’ammazza-grandi” della Liga.

 

Prima i tre gol rifilati in 13-minuti-13 all’Atletico Madrid e ora lo scalpo del Real di Ancelotti che dopo 22 vittorie cade al Mestalla (ma il Barcellona non ne approfitta). Il rigore di Cristiano Ronaldo illude i blancos raggiunti e superati nella ripresa. Barragan (decisiva la deviazione di Pepe) e Otamendi firmano la storica impresa del Valencia che batte la Casa Blanca dopo 5 anni sull’onda emotiva scatenata dal video motivazionale che il club ha preparato per lanciare la sfida ai blancos: “Sì, se puede”

 

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«Una vittoria meritata ma abbiamo 34 punti, non è il momento di festeggiare nulla». Espirito Santo tiene i piedi per terra e dedica la vittoria al magazziniere colpito da ictus. Sono passati quasi 20 anni dal trasferimento dell’allora portiere del Vitoria Guimaraes al Deportivo La Coruna. Quello di Nuno fu il primo affare da manager del procuratore portoghese Jorge Mendes che nel frattempo con la sua agenzia, la mitologica “Gestifute”, ha costruito un impero da 600 mln di euro.

 

Da Diego Costa a Di Maria passando per James Rodriguez, Falcao e Mangala: cinque dei sette trasferimenti più cari dell’ultimo mercato portano la sua firma. Sarebbe riduttivo pensare a Mendes solo come al Cristiano Ronaldo dei procuratori calcistici (anche se ha vinto 3 volte il Pallone d’oro riservato alla sua categoria).

 

Da quando il tycoon asiatico Lim è sbarcato a Valencia salvando il club dalla bancarotta, il manager portoghese ha assunto un ruolo centrale nel mercato della squadra spagnola. Congedato tra le polemiche Pizzi, è stata sua la decisione di scommettere sul 40enne portoghese Nuno Espirito Santo, ex tecnico del Rio Ave che ha condotto alla finale di Coppa del Portogallo e di Lega entrambe perse contro il Benfica.

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Sempre sua la scelta di puntare sull’ex attaccante del City Negredo (e non sull’interista Guarin), e sulle stelline del Benfica André Gomes e Rodrigo, tra i segreti dello strabiliante inizio di stagione del Valencia. Ultimo colpo, Enzo Perez, strappato al club lusitano per 25 mln di euro.

 

Come insegnava Osvaldo Bagnoli, le grandi squadre si riconoscono dalla spina dorsale. Quella di Nuno  può contare sul pararigori della Liga Diego Alves (tra le sue vittime Cristiano Ronaldo, Llorente, Rakitic, Diego Costa e Siqueira). Al centro della difesa domina Otamendi, a segno di testa anche contro l’Atletico, una garanzia nei duelli aerei (in una speciale classifica della Liga è secondo solo al centrale rojiblanco Godin).

 

“Espiritu y caracter”, il mantra della formazione valenciana. Le percussioni di Andrè Gomes, il dinamismo di Rodrigo e i movimenti di Alcacer, da molti considerato l’erede di Villa, aggiungono velocità e imprevedibilità alla squadra di Nuno. L’obiettivo del Valencia è centrare la qualificazione alla Champions del prossimo anno. Anche se dopo le vittorie con Atletico e Real, il sogno è quello di dare fastidio alle grandi il più a lungo possibile. Ma per riuscirci ci vorrebbe un miracolo. Un altro miracolo dell’Espirito Santo.

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2. L’ATLETICO MADRID RIABBRACCIA TORRES: COSA SPINGE 45MILA TIFOSI AL CALDERON PER UN CALCIATORE AL CREPUSCOLO?

Francesco Persili per Dagospia

 

L’Atletico Madrid riabbraccia il suo “Niño”. Il figliol prodigo Torres è tornato a casa ed è festa grande al Calderon: quarantacinquemila tifosi in delirio sugli spalti per l’attaccante ex Milan che torna a vestire la maglia della squadra di cui è stato simbolo e leggenda. Tasto rewind, basta un attimo e torna tutto: il nonno tifoso e il sogno della camiseta rojiblanca, il provino a 11 anni, l’esordio a 17, il primo gol all’Albacete (festeggiato con uno yoghurt), la fascia da capitano a 19. Le 91 reti in 244 partite.

 

Allora, dov’eravamo rimasti? Il presidente dei Colchoneros Enrique Cerezo riavvolge il nastro della storia: «Sette anni fa, in questo stesso stadio, io e Fernando ci siamo salutati ma entrambi sapevamo che non era un addio ma un arrivederci».

 

Certi amori non finiscono e poi tornano ad esplodere in riva al Manzanarre una domenica di gennaio che sembra primavera. «Un giorno emozionante», lo definisce il “Niño” travolto dall’entusiasmo degli aficionados dell’Atleti fin dal suo arrivo all’aeroporto di Barajas. Erano in 300 a vedere il suo primo allenamento a Cerro del Espino, sono tanti, tantissimi ad applaudire i suoi palleggi nel giorno della presentazione ufficiale al Calderon.

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«Uno stadio che non è un luogo di evasione dalla realtà ma un prolungamento della vita stessa», come scrive il giornalista Rubén Amon nel suo libro “Atletico de Madrid. Una Pasiòn, una gran minorìa”. Una codificazione dello spirito colchonero: passione sportiva, senso di comunità e sentimento di appartenenza a una gloriosa minoranza che ha spezzato il bipolarismo egemonico di Real e Barcellona. 

 

Davanti a un popolo in estasi Torres fatica a credere ai suoi occhi e confessa: «Andar via sette anni fa fu una scelta obbligata affinché il club potesse crescere ed io maturare come calciatore. Ho vinto tanto ma mi è mancato vincere qualcosa d’importante con l’Atletico».

 

A dire il vero nella semifinale di Champions dello scorso anno col Chelsea il ‘Nino’ segnò pure alla sua ex squadra (anche se non esultò) rischiando di passare alla storia come il core ‘ngrato che negava ai colchoneros una finale attesa 40 anni. C’è troppa vita che gli passa davanti mentre con gli occhi lucidi ritrova il prato, i cori e la passione di casa. Le stagioni da fenomeno al Liverpool, il gol nella finale di Vienna che regalò la vittoria a Euro 2012 alla Spagna di un altro mito colchonero, Luis Aragones, gli alti e bassi al Chelsea, i mesi difficili al Milan tra scetticismo e ironia: «Da “Niño” a nonno».

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Anche se ha sempre la stessa faccia da adolescente oggi Torres sembra un calciatore al crepuscolo. Per questo si è affidato alla cura Simeone. Col tecnico argentino (il Mono Burgos e il “profe” Ortega) vuole tornare ad essere un campione. «Il Cholo è stato fondamentale per il mio ritorno. Mi ha fatto sentire sempre la sua fiducia e il suo appoggio. Nell’ultimo anno ho imparato a conoscere un Atletico vincente. Non vedo l’ora di scendere in campo».

 

Il 7 gennaio c’è il derby contro il Real in Coppa del Re. Può essere l’occasione giusta per rivederlo al centro dell’attacco rojiblanco. I dubbi sulle sue condizioni? Non ora, non qui. Per i tifosi dell’Atleti, il “Niño” non si discute: «Lui è uno dei nostri». Appartiene a loro perché è come loro. Un colchonero vero.