AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Matteo Pinci per “la Repubblica” - Estratti
La scintilla s’è accesa, lo scontro tra la Lega Serie A e la Federcalcio è iniziato.
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Il piano di riforme della Serie A è un documento in 12 punti e 45 voci complessive, non ancora definito. E che parte con una premessa che recita così: “Se non ora, quando?”. Tra le voci si può trovare letteralmente qualunque argomento possibile riguardo al calcio italiano: ma tra temi al limite del surreale (il tempo effettivo, avere meno partite delle Nazionali e più extracomunitari) e alcune interessanti come il professionismo arbitrale, l’ipotesi di salary cap e la riforma di Coppa Italia e Supercoppa, spicca soprattutto un punto: la riforma della governance nella Federcalcio.
gabriele gravina foto di bacco
La Serie A vuole avere più peso politico, visto che da anni perde ogni votazione in Figc. Lorenzo Casini, presidente della Lega Calcio e quindi rappresentante delle 20 squadre del campionato, da giorni parla di “autonomia”: evoca il modello della Premier League, impropriamente ma per dire che la Serie A vuol decidere per se stessa. Perché tutti i soldi che muove il pallone, o quasi, sono i suoi. Anche tutti i debiti, però.
Proprio sul tema della sostenibilità la Federcalcio lancerà la propria sfida ai club: più peso politico, sì, ma anche criteri più stringenti per iscriversi ai campionati. Per questo Lotito e Cairo — ma non solo loro — sono sul piede di guerra.
Dopo l’ultima assemblea, un delegato della A era sicuro: «Vogliono far fuori Gravina». E lui, che lo ha capito, è pronto ad annullare l’assemblea straordinaria dell’11 marzo in cui il progetto riformista sarebbe dovuto partire.
Cosa vuole la Serie A? Quello che emerge da quel piano è la ricerca disperata di risorse. Ridurre le squadre professionistiche — quindi meno club in Serie C — per spendere meno in mutualità. E poi liberare soldi introducendo una riduzione automatica dei contratti dei calciatori in caso di retrocessione.
Posizione che si scontra con l’Assocalciatori, il cui presidente, Umberto Calcagno, è vice presidente della Federcalcio. Ma anche uno dei nemici giurati della Serie A: perché è stato lui a far abolire dal governo il decreto Crescita che permetteva alle società un regime fiscale agevolato per i contratti degli stranieri in arrivo dall’estero. E che ha permesso di ingaggiare campioni come Lukaku, Osimhen, Rabiot, Thuram, Pulisic. I club considerano quella mossa uno sgarbo grave.
Lunedì le 20 squadre si ritroveranno per definire quel programma e presentarsi pronte al tavolo di riforma convocato per martedì a Roma dalla Federcalcio. Il problema per le squadre però è riuscire a fare sistema. Perché la Serie A è a sua volta divisa. La frattura è emersa quando Inter, Juve e Milan hanno parlato apertamente di un passaggio da 20 a 18 squadre. Incontrando lo stop di Galliani che rappresentava il microcosmo delle piccole e medie che avrebbero più da perdere se diminuissero le squadre. Le tre big però pesano, da sole, il 62-68% del pubblico del calcio italiano.
adriano galliani - campagna elettorale a monza
E in tutto almeno 6 club appoggerebbero il passaggio a 18, forse 7, anche se non si espongono. Per cambiare ne servono però 14, e a quel numero non si arriverà mai. Ma con la maggioranza semplice, ossia 11 consensi, potrebbero esercitare una pressione sia sulle altre squadre che sulla Figc. Se in passato ridurre il numero di squadre era una opportunità, ora con i nuovi calendari internazionali è una necessità. Solo per le grandi, però.
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