DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
Emiliano Guanella per “la Stampa”
Non c'è niente di più argentino che il concetto «dell'allegria per il pueblo» e non c'è nulla di più forte del calcio per giungere, quasi per magia, a questo sentimento di euforia collettiva. Nel primo Mondiale senza Maradona la selección del Messi più maradoniano di tutti i tempi ha incendiato la passione di un Paese che arriva alla fine dell'anno stremato dall'ennesima e gravissima crisi economica.
Nell'ultimo mese l'inflazione è stata del 5%, su scala annuale è del 96%, un deprimente record mondiale, ma questo a nessuno importa più. Il futbol, qui, è pasión, ode nazionalpopolare, laboriosa conquista emozionale fatta di sforzi, talento e sacrifici.
Non a caso oggi molti benedicono l'Arabia Saudita, quella debacle che ha obbligato i ragazzi di Scaloni a fare a pugni con la realtà. Da quasi favoriti a villani, da eroi predestinati ad oggetto degli sfottò dei brasiliani e dell'ironia di molti europei, tutto sembrava un film già visto; la celeste y blanca che si squaglia sul più bello e relega Messi all'ennesima delusione.
Ma è arrivato l'orgoglio e l'etica del «paso a paso» di Basilesca memoria (da Aldo Basile, bicampione della Copa America ai tempi di Batistuta), testa bassa e a lavorare, trascinati da una Pulce in stato di grazia. Se i ragazzi a Doha ce la stavano mettendo tutta, in patria non si poteva essere da meno.
I bambini delle scuole elementari con la maglietta sotto il grembiule bianco, i negozi con le bandiere al posto di Babbo Natale. È il primo Mondiale con la splendida primavera in fiore dei jacarandà, sono stati sistemati maxi schermi in piazze e parchi, i datori di lavoro hanno fatto uscire prima i loro dipendenti, nessuno si è dovuto fingere malato.
Tutti i politici, dall'impopolare presidente Alberto Fernandez in giù, hanno approfittato della situazione, per un mese nessuno a reclamare della corruzione o della violenza, nessuno a chiedere perché nel granaio del mondo un bambino su due è malnutrito. Pane e circo, può dire chi da queste parti non è mai venuto e come dargli torto. Poco importa, l'hastag «Argentina, non sforzarti a capirla» ha fatto capolino in centinaia di video che ritraggono l'illogica follia mundialista.
Gente che ha venduto l'auto per volare a Doha, chi ha perso il lavoro, la abuela (nonnetta) portata in trionfo su Tik Tok, la foto del pensionato di 82 anni di Entre Rios che si è piazzato con la sdraio davanti al negozio chiuso di elettrodomestici del suo paese per poter vedere la partita con l'Olanda davanti ad una tv da 52 pollici; tre giorni dopo gliene hanno regalata una nuova di zecca. C'è il nuovo inno cantato dal gruppo La Mosca, che parla dei ragazzi della guerra delle Malvinas e delle lacrime versate nelle tre finali perse tra 2014 e il 2020.
La maledizione spezzata con la Copa America vinta contro i "brazucas" nel Maracanã, Lionel Andrés che fa la pace con la bacheca e accende il motore della Scaloneta.
La chiosa del brano è una fitta al cuore, c'è il dolore della perdita e la felicità per il passaggio delle consegne, dramma e nostalgia, come in un tango. «C'è Diego, nel cielo lo possiamo vedere, è con Don Diego e con la Tota, a tifare per Lionel».
Il riconoscimento per il percorso realizzato è generale, molti andranno a salutare la selección all'aeroporto anche se perderà. Messi ha messo finalmente a tacere tutti quelli che lo criticavano, sapendo diventare leader e condottiero anche con la pelota ferma. Quel "Que mirás bobo?" (cosa guardi, fesso?) al malcapitato oranje Weghorst è la quinta essenza della sua trasformazione maradoniana, l'abbraccio finale con la parte più passionale e virulenta del tifo, con buona pace dei moralisti di turno.
«La rabbia è il mio combustibile», diceva Diego e oggi quella rabbia è l'emblema della squadra che si sente pronta, senza trionfalismi ma senza paura a sfidare Mbappé e compagni. L'atroce incanto di essere argentini, diceva anni fa lo scrittore Marcos Aguinis, quel mix di emozioni e momenti sempre contrastanti, di gioie e dolori, di cadute e risalite. Il Paese dei cinque premi Nobel e della dittatura più sanguinaria d'America, di Quino e dei default a ripetizione.
I sociologi stanno analizzando a fondo l'oasi di felicità pallonara che si sta vivendo nel mezzo del Titanic generale. «Il sentimento più diffuso rispetto al momento economico e politico del Paese - spiega Nicolas Rotelli - è la tristezza. Il calcio ha regalato una luce di sollievo in questo buio generale». Erano tutti pronti per un altro Natale con litigi in famiglia, giovani senza lavoro e anziani con pensioni da fame. Problemi che rimangono, questo è chiaro, ma il clima ora è un altro.
È bastato, per così dire, il genio di Lionel, ma anche la freschezza di Julian Alvarez, la guapperia del Dibu Martinez, la modestia di Scaloni e dei suoi collaboratori Samuel, Ayala ed Aimar, tutti molto amati dai tifosi. Manca solo un passo ed è il più importante, ma comunque vada l'anno per gli argentini si è magicamente raddrizzato.
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