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Giancarlo Dotto per Dagospia
Due set sotto, trentacinque anni e sentirli tutti, quel Cilic che gioca un tennis martellante e inesorabile, sei Roger Federer, ma sei anche a fine corsa, la schiena a tocchi, forse l’addio all’erba di Wimbledon, il tuo Taj Mahal. La gente con te. Ti ama. Non vuole saperne di misurarsi col lutto di doverti perdere e allora ti chiama al tuo dovere di essere eterno. Tu ascolti, forse, ma sei al lumicino e quel Cilic ha la racchetta del drago.
Ma tu sei Roger Federer. Sei qua, stremato, in questo campo infame, ma sei anche nel mito. Ti salvi non si sa come nel terzo set. Sul 3 pari e tuo servizio sprofondi fino allo 0-40, che è l’ascensore per il patibolo. Sono tutti con te, ma sei solo. L’altro a un millimetro dall’impresa. Tu dalla fine di una storia che non ha diritto di finire. Ti salvi. Ci salvi.
Chi ti ama patologicamente ha già spento il televisore alla fine del secondo set e si è messo a fissare la vasca dei pesci o l’oblò della lavatrice. Arrivano notizie. Riaccende il televisore. Che sta accadendo? Ultimi conati di un fuoriclasse unico, lo scandalo della grande bellezza sopravvissuta all’invasione degli energumeni da laboratorio.
Quarto set. Tie break. Interminabile. Entro nelle ossa di tuo padre, accucciato e solo in tribuna, la testa bassa di chi troppe ne ha viste, troppe meraviglie e troppi baratri di questo suo inverosimile figlio. Vai su, giù, sprechi, resusciti, match point per il croato. Sopravvivi, ancora. Lo fai per noi, più che per i tuoi non so quanti gemelli.
Cilic non ci crede. Ma accade. Quinto set. Ti dici che Roger sfinirà adesso, consumato dalla fatica e dallo stress, che sentiremo da qui i lamenti della sua schiena, ma quello, invece, se ci credete, comincia a giocare come un angelo, mentre l’altro, Cilic, somiglia sempre di più a una borraccia vuota. Persino Edberg si alza in piedi. Wimbledon impazzisce. Anche i pesci nella vasca. Roger è ancora tra noi, pur essendo stratosfericamente lontano da noi. Grazie che ti ostini ad esistere.
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