DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
Il culo di Carlo, e so che non si offenderà. Perché è unico, in tutto. È vincente, stratega, non è un artigiano, è l’Allenatore. Sa soffrire, lo accetta, sa attaccare e difendere, e alla fine arriva lui. Ancelotti è il calcio nella sua globalità, nella sua complessità e nella sua semplicità.
Il calcio del ManCity è questione di musica. Anzi, di ritmo e in definitiva di trance. Credo che sia difficile giocare meglio di come ha fatto ieri sera la PepStation. Guarda come corrono tutti senza palla, ho pensato di nuovo, e tutti addosso agli avversari e poi fanno possesso e non ti lasciano respirare, inducono a sbagliare gente come Kroos e Valverde, costringono gli avversari a muovere il pallone all’indietro. Aggrediscono poco fuori dall’area e, una volta in possesso, attaccano in nove e insomma per reggere un urto del genere devi poter essere organizzato difensivamente come il Madrid, capace di arrivare fino ai rigori.
Ho parlato di trance perché quelli di Guardiola sembra che giochino in una condizione affine allo stato ipnotico e che abbiano i polmoni del maratoneta e le gambe del centometrista. Dopo il gol di Rodrygo confesso di aver sperato che il City non riuscisse a pareggiare. Perché sono uno sportivo vero (...) e adoro Ancelotti.
Formidabile la disposizione sul campo della squadra di Guardiola, strepitosi Rodri, tatticamente imprescindibile, e De Bruyne è riuscito addirittura a nascondere Foden. Gran bella partita, di quelle che l’ansia va a mille e non capisci perché. In fondo non giocava un’italiana, in campo non c’era la squadra del cuore.
(…)
MATTARELLA FACCIA ANCELOTTI SENATORE A VITA
Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
Poco prima che scoppiasse il Covid, Carlo Ancelotti era a Liverpool sponda Everton. Nella cittadella dei blu, Ancelotti si intratteneva con gli uomini del suo staff. «Lui – disse presentando un uomo dello staff – ha lavorato con Trapattoni in Irlanda». E poi allontanandosi gli disse: «Trapattoni, number one».
Carlo Ancelotti è uno di quegli uomini convinti che la specializzazione sia importante ma che conti meno senza l’intelligenza. E intelligenza vuol dire adattamento alla situazioni. Vuol dire saper essere incudine e martello a seconda delle circostanze. E a Manchester, contro l’armata Guardiola che ha una squadra e una panchina di extralusso, Ancelotti è riuscito a far capire ai suoi che sarebbe servita intelligenza. Oltre al sacrificio di rimanere in the box. A chiudere ogni varco. Perché è da stolti andare a cercare la bella morte quando si può sopravvivere.
E Ancelotti col suo Madrid è sopravvissuto al ritorno all’Etihad. E andato in vantaggio con Rodrygo. Poi ha resistito. Ha subito il gol dell’1-1. Ha dovuto togliere dal campo i suoi attaccanti. È andato ai rigori, li ha tirati con Lucas Vazquez, Nacho, Rudiger, tre difensori e ha vinto.
È stata una battaglia. Ancelotti ha vinto da allenatore. Soprattutto, ha vinto da generale. È un uomo che non si vergogna della tradizione calcistica italiana. Anzi. È uno degli ultimi simboli del made in Italy. Mattarella ci pensi, lo nomini senatore a vita. È molto più che un allenatore.
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