Federico Cella e Michele Rovelli per “Sette”
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Michela è per il 54,1% greca e italiana meridionale, per il 17,1% dell’Italia del Nord, ha qualche radice sarda ma anche scandinava. Federico è per il 49,8% italiano e per il 19,5% del Nord Europa. Il resto è sparso tra Spagna, Francia e steppa russa. Abbiamo provato i test del Dna fai-da-te per capire meglio come funziona un mercato a dir poco in esplosione.
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A inizio dell’anno secondo il Mit Technology Review già 26 milioni di persone nel mondo li avevano provati, e Global Market Insights stima che “l’industria dello sputo” dai 600 milioni di dollari di valore a fine 2017 arriverà a 2,5 miliardi entro 4 anni. Ma dietro l’analisi e la conservazione del Dna sta crescendo un business ben più consistente. Tornando a Michela e Federico, i test sono stati eseguiti con due delle più grandi società al mondo.
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Rispettivamente MyHeritage (69 euro) e 23AndMe (99 dollari). Entrambi si basano su probabilità statistiche. Il risultato, arrivato in poco meno di un mese, è stato deludente. Vedere a monitor issare delle bandierine e suonare musiche tipiche in base ai Paesi d’origine ha fatto cadere le braccia. Ci raccontavano solo dei nostri antenati, in modo anche abbastanza approssimativo. Più che osservare ciò che ci è stato fornito, guardiamo ciò che abbiamo, in qualche modo, regalato.
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Quando ci si iscrive ai servizi, i dati − il corredo genetico – vengono registrati da una società privata. Che, previo consenso, può e potrà utilizzarli. In ambito scientifico si dice che 23AndMe possieda il più ampio database genomico mondiale. Un tesoro non da poco. Se guardiamo l’informativa sulla privacy di MyHeritage, si legge: «Inviando un campione di Dna, ci garantisci una licenza d’uso esente da diritti e internazionale del campione».
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Una licenza che è però revocabile, qualora concessa. Si specifica che il proprio Dna può essere rimosso dai laboratori della società facendo richiesta e che per nessuna ragione verrà ceduto a terze parti (senza consenso). Il punto è sempre lo stesso, che vale per ogni informazione sensibile raccolta online: quanti utenti sfoglieranno questi Pdf e si interesseranno al destino dei propri dati?
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Un altro foglio parla della possibile partecipazione al “Progetto”, il cui obiettivo è «condurre studi per comprendere la genetica delle popolazioni» per «il beneficio alle generazioni future ». Molto generico, enorme potenziale da sfruttare. In ogni caso la novità attrae più che noiose informative sulla privacy. E cresce la voglia di provare uno di questi kit.
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Dopo l’acquisto online, si riceve via posta il kit. Un contenitore sterile, da riempire di saliva, e un pacchetto pre-affrancato per spedire il campione ai laboratori. Dopo essersi registrati, una mail ci avvisa che il responso semi-divinatorio è pronto. Lo si legge sul sito. A lato (in basso, in alto e via mail) si affollano le proposte di coinvolgere i parenti nella mappatura, di vagliare le possibili corrispondenze genetiche con altri (sconosciuti) utenti e di partecipare ad inchieste informative sulle malattie di cui si è affetti piuttosto che su diete o intolleranze alimentari.
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Del tutto differenti − e più soddisfacenti – sono stati i risultati del test DnaPro, proposto dall’azienda italiana Eugene. L’obiettivo in questo caso è dare agli utenti informazioni sul funzionamento del loro corpo, dal metabolismo alla predisposizione ad intolleranze. Dopo tre settimane e per un costo più elevato – 250 euro – si riceve una tabella ricca di dati e semplificati tramite una infografica. Nel caso di Michela, nessun problema all’orizzonte per colesterolo e celiachia, mentre potrebbe soffrire di un’intolleranza al lattosio e di mancanza di vitamina B6.
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Si parla, come anche negli altri casi, di predisposizioni genetiche. Nessuna sentenza, nessuna diagnosi medica, ma qualche consiglio per mangiare meglio o organizzare l’attività fisica. Mario Birello, responsabile marketing di DnaPro, ci spiega che i loro risultati – sempre su base statistica – si basano su ricerche scientifiche attendibili.
A garantirle un laboratorio dell’Università di Salerno, dove i campioni vengono analizzati e poi conservati, con cura della privacy: «È impossibile incrociare i dati del campione con i dati della persona. Il Gdpr europeo è l’unica legislazione da rispettare in Italia». Se DnaPro si è specializzata sul benessere, la spina dorsale del settore sono però i cosiddetti test ricreativi, che raccontano “curiosità” sul proprio Dna, come l’etnia. Divertente, sì.
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Ma una volta ricevuti i “superficiali” risultati, la sensazione è di essere stati attratti da uno specchietto per le allodole: dammi uno sputo e ti dirò chi sei. Mistico ma con solide basi scientifiche, un ottimo marketing che nasconde quello che da molti è indicato come uno dei mercati del futuro: l’utilizzo del Dna come ultima frontiera della raccolta di dati sensibili. La scienza che la studia si chiama bioinformatica e si occupa di sviluppare algoritmi che traducano in dati digitali la complessità biologica.
TEST DEL DNA - Ngb Genetics
Qualche settimana fa era stata Microsoft ad annunciare di aver completato il primo sistema automatizzato per conservare i dati sul Dna, in grado di trasformare in bit le informazioni genetiche e creare degli enormi (ed eterni) database della parte più intima degli esseri umani.
«Quello della raccolta dei dati derivanti dall’analisi del Dna, e la loro conservazione, è una delle nuove frontiere della ricerca scientifica e tecnologica», ci ha spiegato Rico Malvar, chief scientist di Microsoft per i progetti innovativi. «Con at attenzione alla privacy di ognuno».
TEST DEL DNA - Ancestry
Perché il tema è quello: incrociando i dati, si possono prevenire malattie, valutare le risposte a farmaci, suggerire cambi di stili di vita. Una rivoluzione in campo medico. Ma è facile immaginare degli utilizzi distorti del nostro corredo genetico. Oggi raccolto, un domani sfruttato. Per campagne pubblicitarie mirate.
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Oppure, per fare un esempio, dalle compagnie assicurative per decidere se concederci o meno (e a che costi) una polizza. O ancora in occasione di un colloquio di lavoro: per sapere se il candidato ha una bassa predisposizione allo stress o è a rischio di assenze per malattia, basterà dare un’occhiata al suo Dna.