1. «SQUID GAME», UN DRAMMA FATTO DI VIOLENZA E SORVEGLIANZA
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
squid game
La serie di cui tutti parlano è «Squid Game». Un tempo, il cinema coreano veniva usato per prendere in giro i cinefili più accaniti, capaci di sorbirsi anche quella cinematografia aliena con didascalie in tedesco. Dopo il successo di Parasite , la Corea del Sud è la nuova frontiera dell'immaginario. «Squid Game» è una dramma della sopravvivenza firmato Netflix, nato da un'idea del regista Hwang Dong-hyuk e il cui titolo fa riferimento a un popolare gioco per bambini coreano che utilizza una tavola a forma di calamaro.
Squid Game 2
Seong Gi-hun (Lee Jung-jae) ha 47 anni, è sommerso dai debiti, con un matrimonio fallito alle spalle, una figlia di cui ha perso la custodia e una madre gravemente malata. Viene avvicinato da un misterioso uomo d'affari che gli propone di partecipare a una serie di vecchi giochi per bambini in cambio della promessa di una solida vincita in denaro.
Rinchiuso in un luogo sconosciuto insieme ad altre 456 persone con gli stessi problemi, scopre un ambiente fatto di violenza e sorveglianza. «Squid Game» è un luogo della disperazione dove uomini che non hanno più nulla da perdere si sottopongono all'estrema afflizione. Ci sono momenti in cui la serie ricorda Hunger Games , altri in cui rievoca «Most Dangerous Game», ma la sua estrema originalità (l'estrema angoscia) sta nella sua costruzione formale, pressoché geometrica.
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Un primo livello di lettura ci attrae nell'indagine spietata delle disuguaglianze sociali, nella lotta dei miserabili contro i pochi detentori della ricchezza o negli esiti di una società dell'intrattenimento. Ma la chiave per entrare più nel profondo sta tutta nella simbologia dei giochi infantili trasformati per l'occasione in giochi mortali. La vita diventa qualcosa che sembra non aver più alcuna consistenza, ma la cui finzione ludica crea la sua estrema, tragica «illusione di vita».
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2. SQUID GAME, SE PER GIOCO SI UCCIDONO I POVERI
Caterina Soffici per “La Stampa”
Squid Game è oggi la serie di Netflix più vista di sempre: 111 milioni di persone in meno di quattro settimane. La serie più vista di sempre prima di Squid Game era Bridgerton, un polpettone in stile Regency visto da 88 milioni di utenti. Le due cose sono talmente agli antipodi, che uno si chiede se veramente a scegliere siano gli utenti o un algoritmo. Siamo passati da una melassa romantica in costume a una delle cose più violente che si possano trovare su una piattaforma streaming, un misto di pulp (sangue a litri) e di thriller psicologico, un survival game dove chi non ha più niente da perdere mette in gioco la sua vita per sopravvivere.
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La trama in breve, per capire di cosa di parla: una misteriosa organizzazione seleziona 456 persone che nella vita reale hanno debiti, sono minacciate dai creditori e dalla mafia o ricercate dalla polizia per frode e le butta in un gioco che avrà un solo vincitore. A lui andranno i 45.600.000.000 in palio, gli altri moriranno. Il gioco si svolge su un’isola e i protagonisti dovranno superare vari livelli – come in un videogioco – che corrispondono a sei diversi giochi per bambini. Da qui il titolo, Squid Game, ovvero il “gioco del calamaro”, molto popolare nelle scuole coreane, un misto tra il nostro “Un due tre… stella!” e alla “Campana”. Chi raggiunge saltellando su un piede o su due la testa del calamaro tracciato per terra vince, chi viene eliminato prima muore.
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L’idea non è propriamente originale e questo tipo di voyeurismo tra vita e morte si pratica dai tempi delle sfide tra gladiatori al Colosseo. Se vogliamo trovare precedenti meno remoti, basta rifarsi a qualche episodio di Black Mirror o di Hunger Games e a gran parte dello storytelling distopico delle graphic novel e dei videogames. Ma siamo sempre e comunque nel campo della fiction.
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La parte più interessante della serie e sulla quale vale la pena spendere il resto di questo spazio è quella che attinge alla realtà. Perché, come si sa, la realtà è sempre più terrificante della finzione. E qui la realtà sono le enormi disuguaglianze economiche e sociali. Il richiamo più diretto è a Parasite, il film superpremiato di Bon Joon-ho, altro regista sudcoreano. Come Parasite, anche Squid Game – scritto e diretto dal regista sudcoreano Hwang Dong-hyuk - è ambientato nella Corea del Sud contemporanea e mette il dito nella reale enorme disparità sociale tra i super ricchi e i super poveri. Senza timore di fare spoiler, possiamo dire che a organizzare il gioco sono dei super ricchi super annoiati che si divertono a scommettere sulle vite degli emarginati che hanno reclutato.
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Come in Parasite non ci sono buoni o cattivi. Se fosse una favola bella i ricchi sarebbero cattivi e i poveri buoni. Ma in Squid Game sono tutti cattivi e ci avvisa che quando il mondo è portato agli estremi, chi è talmente emarginato da non aver niente da perdere e chi è troppo ricco da non aver più alcun limite morale, le cose si mettono male. E si torna alla legge della giungla, dove vince il più disperato o quello con meno scrupoli. Questa non è fiction, è realtà. Questa realtà ci riguarda tutti, e forse è il motivo per cui così tanti milioni di persone nel mondo stanno guardando Squid Game.
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