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Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista rilasciata dal giudice Guido Salvini a Panorama Storia, lo speciale in edicola dedicato alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, di cui oggi ricorre il cinquantesimo anniversario. Quel giorno alle 16.37 una bomba, nascosta in una valigetta con sette chili di tritolo e un timer, esplose scavando una buca profonda nel pavimento della filiale della Banca nazionale dell’agricoltura, a pochi passi dal Duomo di Milano. I morti furono 17, 84 i feriti. Da quel giorno l’Italia entrò nella cupa stagione del Terrore. Il giudice Salvini, che riuscì a individuare il filo che legava tutti gli attentati del sanguinoso quinquennio 1969- 1974, torna sui depistaggi e sulle gelosie tra Procure che ostacolarono le indagini.
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Estratto dell’articolo di Maurizio Tortorella per “Panorama”, pubblicato da “la Verità”
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Per un quarto di secolo ha condotto indagini sul terrorismo rosso e nero. Alla fine degli anni Ottanta, da giudice istruttore, è stato lui a riaprire l' inchiesta su Piazza Fontana. E nonostante l' assoluzione degli imputati indicati come autori materiali della strage, è sempre grazie a lui se la responsabilità dell' attentato del 12 dicembre 1969 è stata attribuita al gruppo neonazista Ordine nuovo.
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Guido Salvini, 65 anni, è il magistrato italiano che ha trovato il filo della «strategia della tensione», il sanguinoso quinquennio tra il 1969 e il 1974 che vede l' Italia colpita da cinque stragi, mentre un' altra mezza dozzina fallisce solo per caso. A lui Panorama ha chiesto di raccontare quale sia la sua visione di quegli orribili anni di sangue.
mariano rumor
Partendo proprio da quella strage su cui - nel cinquantenario - è in libreria il suo La maledizione di Piazza Fontana (Chiarelettere).
Dottor Salvini, in che atmosfera avviene la strage del 12 dicembre 1969?
«Al governo c' è un debole monocolore Dc, guidato da Mariano Rumor. Il clima sociale è incandescente. Il rinnovo dei contratti mobilita centinaia di migliaia di operai. Anche in Italia, con un anno di ritardo rispetto al 1968 francese, inizia la dura protesta studentesca. E in Parlamento si avviano riforme importanti: lo Statuto dei lavoratori, le Regioni, la legge sul divorzio...».
RICHARD NIXON HENRY KISSINGER 1
E a livello internazionale?
«Richard Nixon è il presidente degli Stati Uniti e il suo segretario di Stato, Henry Kissinger, lancia la famosa "dottrina" in base alla quale i governi italiani e i partiti di centro devono respingere ogni intesa con i comunisti e con la sinistra socialista.
Il 27 febbraio 1969, mentre Roma s' incendia per la protesta studentesca, Nixon incontra al Quirinale il presidente Giuseppe Saragat. Si è da poco consumata la scissione del Psi e attorno al Psdi, di cui Saragat è il leader, si radunano le correnti più contrarie al proseguimento del centrosinistra».
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Che cosa si dicono, i due?
«Secondo un dossier negli archivi di Washington desecretato pochi anni fa, Saragat e Nixon concordano sul "pericolo comunista". Il nostro presidente afferma che agli occhi degli italiani il Pci si fa passare per un "partito rispettabile", ma in realtà è dedito agli interessi del Cremlino».
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Questa è verità storica: il Pci ha continuato a incassare i dollari dei sovietici fino alla fine degli anni Ottanta. Ma come si arriva a Piazza Fontana?
«Sì, quella era la guerra fredda, l' epoca della contrapposizione tra due blocchi: ora ci sembra tanto lontana che si stenta a ricordarla. In un simile quadro, quella del 1969 è stata una lunga campagna stragista. La bomba del 12 dicembre è preceduta da una sequenza di 17 attentati: colpiscono tribunali, università, uffici pubblici e la Fiera di Milano».
E qual è l' obiettivo di questa campagna?
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«Vincenzo Vinciguerra, esponente di Ordine nuovo, ha spiegato in sede giudiziaria che tutto puntava a un' adunata indetta dai neofascisti del Msi per domenica 14 dicembre, a Roma, enfaticamente propagandata come "appuntamento con la nazione". Vinciguerra rivela soprattutto che la scelta della data era collegata a ciò che i "livelli più alti" sapevano sarebbe avvenuto due giorni prima».
funerali delle vittime di piazza fontana - 15 dicembre 1969 - milano
Cioè la bomba alla Banca nazionale dell' agricoltura «Esattamente».E nei piani che cosa sarebbe dovuto accadere?
«Quarantott' ore dopo la strage, un tempo perfetto per far montare al massimo la tensione, Roma sarebbe stata piena di militanti di destra pronti allo scontro, che invocavano interventi contro la sovversione. Sarebbe bastata una scintilla per scatenare incidenti incontrollabili: assalti alle sedi dei partiti di sinistra, con l' inevitabile reazione da parte dei loro militanti, e quindi scontri con la polizia, magari con morti tra le forze dell' ordine».
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Lo scopo?
«Rendere inevitabile la dichiarazione dello "stato di emergenza": era quello il vero obiettivo della strage».
E che cosa blocca il piano?
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«Il 13 dicembre, quando Vinciguerra con gli ordinovisti arrivati da ogni parte d' Italia è già a Roma, il ministro dell' Interno, Franco Restivo, vieta la manifestazione e cade il tentativo di far precipitare la situazione. E la determinazione e la compostezza con cui la borghesia e gli operai milanesi presenziano ai funerali delle vittime fanno definitivamente fallire il piano». [...]
Come mai è stato tanto difficile indagare su queste stragi, e perché la verità giudiziaria in molti casi resta incompleta?
FELICE CASSON
«Ci sono tanti motivi. Il primo è il muro che, almeno sino alla fine degli anni Ottanta, è stato opposto alle indagini dell' autorità giudiziaria dai servizi di sicurezza e da una parte dei vertici degli organi investigativi, polizia e carabinieri.
Ostruzionismo e depistaggi sistematici». [...]
Ma c' è altro: ostracismi e guerre tra Procure. Lei ne sa qualcosa, no?
felice casson
«Di certo, tra i magistrati che negli anni Novanta indagavano sui vari episodi di strage, ci sono state gelosie e invidie: in certi casi sono andate ben oltre la semplice mancanza di collaborazione».
Immagino lei si riferisca al pm veneziano Felice Casson.
Come scoppiò il conflitto tra di voi?
DELFO ZORZI strage di piazza fontana 4
«La Procura di Venezia non aveva gradito che le nuove indagini milanesi, nei primi anni Novanta, non confermassero il presunto coinvolgimento di Gladio nelle stragi: una tesi sostenuta con enfasi, anche se più in forma mediatica che giudiziaria. Il pm Casson non aveva apprezzato nemmeno che le nostre indagini avessero fatto breccia proprio sull' ambiente ordinovista di Venezia e Mestre, che la sua Procura aveva indagato negli anni precedenti, ma con risultati molto inferiori».
Il risultato è stato devastante: una delle prime guerre tra Procure.
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«Nel 1995 accadde qualcosa che oggi può apparire incredibile, eppure è successo così come lo racconto. Casson coltivò i contenuti di un esposto contro gli investigatori milanesi, ispirato e pagato dal latitante Delfo Zorzi e presentato dal capo ordinovista Carlo Maria Maggi, tra gli indagati per la strage di Piazza Fontana».
Cosa capitò, a quel punto?
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«Il risultato fu l' incriminazione mia e dei carabinieri che lavoravano con me sul fronte dell' eversione nera, da parte dello stesso Casson. Seguì una serie di segnalazioni disciplinari al Csm, tutte rivelatesi false e infondate. Ci fu addirittura il tentativo di farmi trasferire d' ufficio da Milano, un tentativo in cui si distinse la Procura di Francesco Saverio Borrelli e Gerardo D' Ambrosio cui, dopo non aver fatto nulla sulla strage di Piazza Fontana, per anni, non dispiaceva appropriarsi dei miei atti e dei miei interrogatori».
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Accuse forti. Quale risultato ebbero, queste iniziative?
«Il risultato fu la delegittimazione dell' istruttoria milanese agli occhi di testimoni e indagati, e il rallentamento della nostra indagine sulla strage. L' esito fu una ciambella di salvataggio per gli ordinovisti imputati a Milano. Maggi per Piazza Fontana è stato assolto». [...]
GIUSEPPE PINELLI
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Per finire, ci sono altri episodi tragici di quegli anni di cui non si sa ancora tutto: per esempio l' omicidio del commissario Calabresi, che è collegato alla morte di Pinelli e quindi alla strage di Piazza Fontana
«Per quell' omicidio c' è una sentenza definitiva nei confronti degli esponenti di Lotta continua che nel 1972 organizzò l' agguato, e su questo non ci sono dubbi.
LUIGI CALABRESI
Ma ancora, a causa del silenzio dei suoi capi, non sappiamo molte cose. Non si conosce, se non in parte, come l' omicidio fu deciso e nemmeno tutta la fase esecutiva».
Il figlio di Luigi Calabresi, Mario, si è incontrato di recente con Giorgio Pietrostefani. Che cosa ne ha pensato?
«Pietrostefani, latitante da molti anni, era il capo militare di Lotta continua. Lui certamente sa tutto: sa com' è stata presa quella decisione. È gravemente malato e certo non mi auguro il carcere per lui. Ma credo abbia il dovere morale di raccontare, anche senza far nomi, che cosa è successo: come maturò quell' omicidio commesso in nome di tanti giovani che, ottenebrati da un clima di violenza, nelle strade inneggiavano alla morte di Calabresi. Non sappiamo che cosa il figlio del commissario ucciso e l' ex dirigente di Lotta continua si siano detti quel giorno. Aspettiamo».
francobollo per Luigi Calabresi delitto luigi calabresi