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    PENSATE A CHE PUNTO E' ARRIVATO IL TAFAZZISMO DEMOCRATICO: A ROMA CON GUALTIERI E CALENDA IN CAMPO CHE SI TOLGONO VOTI A VICENDA, C'E' IL RISCHIO CHE AL BALLOTTAGGIO VADA LA RAGGI. AL SECONDO TURNO I DEM POI SARANNO COSTRETTI A SOSTENERLA? - LETTA E CONTE, MESSI SOTTO SCACCO DAL DUPLEX DI MAIO-RAGGI, ESCONO AMMACCATI DA QUESTO PRIMO GIRO DI BOA: PER TENERE VIVA L’ALLEANZA CON I 5STELLE IL PD PUNTA TUTTO SU NAPOLI (UN PO’ POCHINO…)


     
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    Carlo Bertini Ilario Lombardo per "la Stampa"

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    Il Pd ora punta tutto su Napoli per tenere in vita l'alleanza con i 5stelle. Ma è a Roma che si deciderà chi avrà vinto le amministrative d'autunno. Enrico Letta e Giuseppe Conte escono ammaccati dal primo giro di boa, (basta sentire i rumors interni per capirlo), ma non ritengono danneggiato lo schema strategico per il futuro. «Il nostro obiettivo - rimarca Letta - è un centrosinistra aperto a diverse forze della società. In questo schema c'è un rapporto con i 5 Stelle appena iniziato, che sconta un processo di gestazione della leadership di Conte, ancora agli inizi».

     

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    Ecco il punto, una «leadership non ancora formale» dell'ex premier, concausa dello stop alla candidatura di Nicola Zingaretti a Roma. Ma da questa vicenda - provano a far notare al Nazareno - uscirebbe comunque «un partito unito, capace di esprimere una vera classe dirigente». Un modo per scacciare l'immagine che i nemici interni e i media vogliono appioppare a Roberto Gualtieri: di essere cioè un candidato residuale. Ma anche un modo per far intendere che i dem hanno fatto di tutto, e che solo il caos grillino ha impedito di chiudere un accordo su Zingaretti.

     

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    Fonti del Pd raccontano che inizialmente Luigi Di Maio avesse dato assicurazioni a Francesco Boccia. Assicurazioni che sono andate a sbattere contro la realtà dei fatti, come ha capito Conte nelle 48 ore che hanno anticipato l'ufficializzazione del suo sostegno a Raggi. In ogni caso, avvertono dalle parti di Letta, «il caso Roma non mette in discussione lo schema di alleanza. E chi vuole prefigurare il ritorno a una vocazione maggioritaria ricordi che in parlamento il Pd è minoritario».

     

    Idem su Roma e Torino, guidate negli ultimi cinque anni dalle sindache grilline. Anche in queste città la situazione di oggi sconta una sconfitta che per il Pd, allora plasmato da Matteo Renzi, fu pesantissima. «Pd e 5 stelle non andranno in crisi, si arriva fino al 2023 facendo un percorso insieme», garantisce Boccia.

     

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    Un accordo Ma al di là di tutto, ora il fantasma dei dem assume le fattezze di Carlo Calenda, che con la sua presenza può produrre lo scenario più da incubo per Letta: al ballottaggio non ci va Gualtieri, ma Virginia Raggi, come vincitrice tra i due contendenti nello stesso campo, e il Pd è costretto a dare indicazione di voto per lei al secondo turno. «Noi lavoriamo per una forte partecipazione alle primarie. Dopo sarà più chiaro che Gualtieri è tra tutti il candidato favorito», risponde Claudio Mancini, deputato e uomo forte della squadra dell'ex ministro. Un messaggio diretto a Calenda: «Non ha chance di arrivare al ballottaggio» dicono. I numeri che i dirigenti romani riuniti oggi da Letta porteranno al tavolo sono ottimisti: Gualtieri al 27%, Raggi al 20% e Calenda al 10%. Detto questo, al Nazareno c'è chi più sottovoce ammette un'altra possibilità: «Calenda può rosicchiare voti che ci servono per battere Raggi».

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    Ecco perché dopo le primarie proveranno a convincere l'ex ministro a non schierarsi, stringendo con lui un accordo sui programmi, promettendogli un posto da vicesindaco o un assessorato di peso. Veleni in casa M5s Nel frattempo, chi ha parlato con Conte assicura che da parte dell'ex premier non ci sia mai stato un tentativo di scaricare Raggi. Nessun accordo sottobanco con il Pd, sostiene, ma nemmeno una posizione di debolezza assunta dopo essere stato messo sotto scacco dalla sindaca di Roma, come l'hanno letta non pochi esponenti tra i dem e i 5 Stelle.

     

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    Sa bene che è stato il suo silenzio - nemmeno una parola fino a domenica a sostegno di Raggi - ad alimentare questa interpretazione. Come se volesse assecondare l'inerzia che stava trasportando le cose spontaneamente verso la candidatura di Zingaretti. Conte la legge diversamente: non si discute la stima per l'ex segretario del Pd, ma una sua candidatura a Roma avrebbe «compromesso» il percorso comune avviato in Regione pochi mesi fa, quando Roberta Lombardi e Valentina Corrado sono entrate nella giunta.

     

    Un primo concreto embrione di alleanza che Conte e Letta stanno faticosamente cercando di trasferire a livello nazionale. In altre parole, l'ex premier vuole far sapere che c'è stata un'assoluta condivisione della linea già decisa dentro il M5S a favore di Raggi. Una decisione che lui ha preso con «coerenza e massima lealtà» verso gli alleati dem: «Il Movimento ha già un candidato che sosterremmo convintamente».

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    Ma sui tempi e sulla strategia Conte è finito anche nel tritacarne grillino dei sospiri velenosi. I 5 Stelle in cerca di una quadra sul dopo Appendino a Torino sono convinti che sul fronte romano l'ex premier abbia ceduto anche il capoluogo piemontese alla vecchia guardia Pd. Quella che non vuole allearsi con il M5S.

     

    E visto che a Milano e Bologna l'ultima carta rimasta è un'alleanza ai ballottaggi, l'unica vera speranza resta Napoli. Dove Boccia, a nome del Pd, è convinto di convergere non più tanto su Roberto Fico (il presidente della Camera teme di dimettersi e di affrontare i conti del bilancio del Comune di Napoli) ma su Gaetano Manfredi, ex ministro dell'Università, rettore amico personale di Conte e gradito al governatore Vincenzo De Luca.

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