Cesare Martinetti per “La Stampa”
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Tahar Ben Jelloun ci risponde al telefono respirando l'Atlantico dalla costa di Taghazout, Agadir. Tra poco raggiungerà i suoi amici a Marrakech e stasera sarà in piazza con loro, per vedere sullo schermo gigante la semifinale dei mondiali in Qatar. Una partita che la radio francese ha già definito «le choc France-Maroc».
Ben Jelloun era in piazza anche la settimana scorsa, quando ha visto le facce dei vecchi rigate di lacrime per le vittorie del Marocco, prima contro la Spagna e poi contro il Portogallo. «È stato commovente», ci dice lo scrittore franco-marocchino, autore emblematico dello storico e sempre dolente rapporto di Parigi e la sua ex colonia.
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Tahar, qual è la vera posta in gioco di questa partita?
«Enorme perché sarà la prima volta nella storia che una squadra araba, africana e musulmana arriva a questo livello di una competizione mondiale. Un successo storico perché il football è sempre stato dominato da tedeschi, spagnoli, argentini, brasiliani, francesi E mi spiace molto che non ci sia l'Italia. Ma i marocchini non erano mai arrivati tanto in alto».
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Chi ha il merito per questo risultato?
«Sono convinto che gran parte del merito vada al re, Mohammed VI, che nel 2009 ha deciso che il Marocco doveva avere una forte squadra nazionale. Ha fatto nascere una scuola per la formazione dei giocatori, ci ha investito, ha fatto venire dal mondo diversi allenatori ad insegnare calcio. È stato un lavoro ben fatto che ha pagato».
Mohammed è diventato re relativamente giovane, nel 1999 a 33 anni ed ha un'immagine di riformatore, anche sul piano sociale e culturale in un Paese dove le differenze sociali restano abissali. Qual è il suo giudizio?
«Il Paese si è molto modernizzato. C'è stato un enorme sviluppo nell'economia e nelle infrastrutture. Restano grandi problemi nell'istruzione e nella salute pubblica. Poi certo, non è un Paese socialista, è un sistema ad economia liberale dove i ricchi si arricchiscono e i poveri sonopoveri».
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E quali sono le altre riforme in corso?
«Molto importante è la lotta contro la corruzione che è la grande malattia dell'amministrazione pubblica. E quando c'è la corruzione aumenta la povertà perché niente viene fatto secondo le regole. Per combattere la corruzione bisognerebbe limitare l'uso dei contanti. In Francia i pagamenti si fanno con i mezzi digitali e dunque sono tracciabili. In Marocco invece si continua ad andare avanti con lo scambio in contanti e questo favorisce la corruzione. Ma cambierà anche qui».
Torniamo al calcio. Lei come ha vissuto queste vittorie mondiali?
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«Sono sceso in strada e mi son ritrovato insieme a migliaia di donne, uomini, anziani con bandiere, tutti che manifestavano pacificamente la loro gioia, molti che davvero non si erano mai interessati al calcio. Si è saputo che i giocatori avevano invitato le loro mamme allo stadio perché li vedessero in campo. C'era anche la mamma dell'allenatore Walid Regragrui che alla fine della partita contro il Portogallo ha danzato con lui sul prato: il gesto di riconoscenza del figlio per la madre che per tutta la vita ha fatto la cameriera per farlo crescere. È stato magnifico, mi sono commosso».
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Dunque queste vittorie rappresentano per i marocchini e per lei un riscatto storico?
«Sì, un riscatto storico, culturale e anche morale. Le dirò un aneddoto. In questi mesi il Marocco ha sofferto una terribile siccità, fino a quindici giorni fa, quando sono cominciati i Mondiali di calcio. Da allora s' è messo a piovere in tutto il Paese, soprattutto a nord. Ed è stato come una benedizione».
Una nazionale vincente e miracolosa?
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«Non esageriamo, è soltanto l'hazard, il caso della natura, ma è successo. E poi aggiungo che la squadra oggi è animata da una tale determinazione che è come se fosse destinata a vincere. Ora non voglio fare pronostici azzardati, ma penso che stasera i giocatori marocchini hanno una vera chance perché sono animati da una volontà profonda, nel cuore e nell'anima. E quando c'è una tale volontà, si può vincere. I francesi sono abituati e per loro io credo che la determinazione sia un po' meno importante di quella dei marocchini. I nostri giocatori sentono la responsabilità, è come se fossero obbligati a vincere. E faranno di tutto per riuscirci».
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Qua e là in Europa la festa si è accompagnata a violenze. La radio francese parla di "atmosfera febbrile" nella comunità marocchina. Lei teme che ci possano essere disordini?
«La posta simbolica è enorme, ma non bisogna nemmeno esagerare. Dei giornalisti francesi mi hanno fatto la stessa domanda, chiedendomi se sia giusto lasciare la libertà di manifestazione, un tema molto sensibile oggi in Francia.
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Le rispondo come ho risposto a loro: lasciate che la gente esprima la sua felicità, già siamo felici che si giochi questo match e che vinca il migliore. Poi certo ci sono teppisti dappertutto, penso agli hooligan inglesi o olandesi che sono terribili. Mi hanno detto che gli Champs Elysées saranno chiusi al traffico. E va bene, ma che lascino la libertà di sfilare e di manifestare».
Tahar, lei ricorda il 1998, la prima vittoria della nazionale francese a un campionato del mondo. Si fece allora molta retorica su quella squadra "black -blanc -beur", composta cioè da giocatori bianchi, neri e arabi e dunque simbolo dell'integrazione universalista alla francese. Che ne è stato di quello spirito?
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«Che non funziona più perché la politica nei riguardi della gioventù immigrata e intendo soprattutto dei figli degli immigrati nati in Francia che erano e sono francesi, è stata fallimentare. Non sono state date loro le chances per riuscire e dunque niente è cambiato dopo venticinque anni.
Io vado spesso in banlieue ed è triste: molti ragazzi lasciano presto la scuola e finiscono nella rete dello spaccio. Sono stato recentemente a Marsiglia nei quartieri difficili, dove non entra nemmeno la polizia e ci sono dei ragazzini appena adolescenti che ricevono uno stipendio di cento euro al giorno dai boss per fare la guardia nelle strade. I ragazzi che riescono nella vita sono una piccola minoranza. La vittoria della nazionale di Thuram-Deschamps-Zidane del '98 non ha cambiato la Francia e non cambierà il mondo l'eventuale vittoria dei leoni marocchini questa sera. Eppure non è soltanto una partita di calcio».
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